7 Aprile 2018

Esenzione Irpef per quali apicoltori montani?

di Luigi Scappini
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L’articolo 1, comma 511, L. 205/2017, al fine di promuovere il settore dell’apicoltura di concerto con la tutela della biodiversità e dell’ecosistema, ha previsto, a regime, l’esenzione Irpef dei proventi derivanti da tale attività, a condizione che sia svolta in aree montane.

La L. 313/2004, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 306 del 31 dicembre 2004, si occupa di riconoscere l’attività di apicoltura come di interesse nazionale in quanto strumento utile alla conservazione dell’ecosistema e avente lo scopo di garantire l’impollinazione naturale e la biodiversità delle specie apistiche.

A tal fine, l’articolo 2 definisce quale apicoltura la conduzione zootecnica delle api, con l’ulteriore conseguenza che la considera quale attività agricola ex articolo 2135 cod. civ., e quindi attività di allevamento, “anche se non correlata necessariamente alla gestione del terreno”.

L’attività, per espressa previsione normativa di cui all’articolo 3, può essere esercitata con maggiore o minore intensità. Infatti, alternativamente, si può essere:

  • apicoltore quando ci si limita a detenere e condurre alveari;
  • imprenditore apistico ai sensi dell’articolo 2135 cod. civ. e
  • apicoltore professionista quando l’attività è quella principale.

L’attività viene eseguita utilizzando arnie che contengono le api e il cui insieme unitario determina la creazione di un apiario.

L’attività di apicoltura può essere svolta in maniera statica o, in alternativa, sotto forma di nomadismo, nel qual caso si assiste a uno o più spostamenti dell’apiario nel corso di un annata.

L’articolo 2 L. 313/2004 individua quali prodotti agricoli derivanti dall’attività dell’apicoltore il miele, la cera d’api, la pappa reale o gelatina reale, il polline, il propoli, il veleno d’api, le api e le api regine, l’idromele e l’aceto di miele.

Per effetto della riconduzione dell’attività tra quelle di cui all’articolo 2135 cod. civ. e dalla previsione di cui all’articolo 32 Tuir, tale attività determina, in via ordinaria, un reddito agrario tassato su base catastale; infatti, le api rientrano tra gli animali di cui al D.M. previsto dall’articolo 32, comma 3, Tuir (da ultimo vedasi il D.M. 15.07.2017).

Si precisa, comunque, che, per trovare piena copertura nel reddito agrario, si dovrà sempre avere a riguardo a quanto stabilito dall’articolo 32 Tuir e dal connesso decreto ministeriale (da ultimo vedasi il D.M. 13.02.2015).

Per tali tipologia di attività il Legislatore, con l’articolo 1, comma 511, L. 205/2017 (Legge di Bilancio per il 2018) ha previsto che “Al fine di promuovere l’apicoltura quale strumento di tutela della biodiversità e dell’ecosistema e di integrazione di reddito nelle aree montane, i proventi dell’apicoltura condotta da apicoltori con meno di 20 alveari e ricadenti nei comuni classificati montani non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”.

La norma innanzitutto deve essere coordinata e interpretata in ragione di quanto previsto dalla L. 313/2004; infatti, qualche dubbio ulteriore si determina in ragione del concetto di apicoltore nonostante l’individuazione del limite dimensionale stabilito in 20 alveari.

La domanda che sorge è la seguente: alla luce delle definizione di cui all’articolo 3 L. 313/2004 quali sono i soggetti agevolati? In altri termini, si deve avere un’interpretazione letterale e restrittiva della normativa, che porterebbe a limitare il perimetro applicativo ai soli soggetti che detengono e conducono alveari e ad escludere sia gli imprenditori apistici sia quelli professionisti?

In ragione della ratio della norma si propende per un’interpretazione estensiva che non dia rilevanza alle definizioni di cui sopra ma si limiti a delimitare l’ambito di applicazione in termini dimensionali (i 20 alveari).

Nel perimetro esentativo, passando all’analisi oggettiva, sembrerebbero rientrare, in ragione del mero rimando all’Irpef senza alcuna distinzione di natura reddituale, anche le attività di impollinazione che l’articolo 9, comma 1, L. 313/2004 considera quale attività connessa.

Ma l’aspetto che meriterebbe sicuramente un intervento chiarificatore è quello relativo all’ulteriore requisito richiesto, ovvero il rimando alle aree montane.

In particolare, fermo restando che la norma cui fare riferimento dovrebbe essere l’articolo 9, comma 1, D.P.R. 601/1973 e quindi le aree montane sono quelle relative a

  • terreni situati a una altitudine non inferiore a 700 metri slm e di quelli rappresentati da particelle catastali che si trovano soltanto in parte alla predetta altitudine;
  • terreni compresi nell’elenco dei territori montani compilato dalla Commissione censuaria centrale; e
  • terreni facenti parte di comprensori di bonifica montana

la domanda che si deve porre è se sono gli alveari a dover essere ubicati in tale perimetro o la sede legale dell’attività, propendendo comunque per la prima soluzione.

Da ultimo si rileva come in assenza di chiarimenti ufficiali, nel perimetro esentativo vi rientrano sia i soggetti che hanno terreni sufficienti a coprire le esigenze di cui all’articolo 32, comma 2, lettera c), Tuir e connesso D.M. 15.07.2017, sia coloro che al contrario non hanno terreni a sufficienza e che comunque, in ragione della loro forma giuridica, dichiarano un’Irpef.

 

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