Esiste un effetto “salvadanaio” nel redditometro?
di Giovanni Valcarenghi
L’accumulo di denaro sui conti correnti, o comunque diversamente dimostrabile dal contribuente, può rappresentare una valida difesa per eventuali contestazioni da art. 38 del DPR n.600/1973 su annualità successive? Questo è l’interrogativo che ha posto un Collega scrivendoci su direzione@ecnews.it dopo l’analisi della circolare n.24/E/13 emanata dall’Agenzia delle Entrate a commento del “nuovo” redditometro.
Per prima cosa, va notato che le Entrate sanciscono, nel documento di prassi, la rilevanza degli accumuli pregressi, ritenendo che i medesimi possano costituire una valida prova che renda credibile il fatto che un contribuente abbia potuto sostenere determinate spese (correnti, o per investimenti) in una annualità priva della necessaria copertura reddituale.
Si qui nessun problema, se non fosse che l’Amministrazione richiede al contribuente la prova del nesso di causalità tra gli esborsi effettuati e gli accumuli pregressi.
Su tale punto si svolge la nostra riflessione, tesa a verificare su chi effettivamente gravi l’onere di prova in situazioni come quella rappresentata e, soprattutto, sulle modalità con cui il contribuente possa difendersi già nella fase endoprocedimentale (primo e secondo confronto con l’ufficio).
Secondo quanto previsto dalla norma e dal decreto ministeriale del dicembre 2012, a noi sembra di poter affermare che in capo al contribuente gravi unicamente un onere di dimostrazione dell’esistenza dei fondi (quello che, appunto, abbiamo definito come “salvadanaio”) e, casomai, un ulteriore onere di dimostrazione che si è verificato un decremento nella disponibilità delle risorse, proprio per rendere possibile il sostenimento delle spese contestate.
Per rendere più chiaro il concetto, si consideri la situazione del sig. Mario Rossi che, in relazione all’anno X, sia raggiunto da un invito dell’Ufficio, che gli contesta il sostenimento di spese per 100, a fronte di un reddito dell’anno di 70. Cosa dovrà fare il contribuente in sede di incontro con l’ufficio, ipotizzando che sul proprio conto corrente giacevano, alla data del 1° gennaio dell’anno oggetto di analisi, denari per un importo di 50?
Sicuramente, stante la non capienza del reddito dell’anno, sarà opportuno dimostrare l’esistenza di fondi accantonati precedentemente; al riguardo, sembra sufficiente produrre la copia dell’estratto conto corrente di gennaio, da cui emerge il saldo iniziale di 50. Infatti, 50 di “salvadanaio” + 70 di reddito, coprono le spese ipoteticamente ricostruite al livello di 100 (si è trascurato, per comodità, il tema dello scostamento minimo per l’ammissibilità dell’accertamento).
Ulteriormente, si dovrà anche argomentare che, nella disponibilità dei risparmi del contribuente alla fine dell’anno, non vi siano somme di molto superiori a 20, dato ricavato da: 50 + 70 – 100. Ovviamente, poiché parte delle spese presunte non hanno il carattere della certezza, sembra più che appagante il fatto che il deposito si attesti su una somma non di molto differente rispetto al dato calcolato, ma non per questo millimetricamente coincidente con lo stesso.
Non sembra invece necessario fornire un (peraltro complicato) raccordo tra l’evoluzione dei risparmi, la maturazione del reddito e la dinamica delle spese. Ciò per una serie di motivi, che vanno dal fatto che il reddito si traduce in disponibilità finanziaria con criteri non sempre equivalenti (si pensi alla esistenza di somme non tassate o tassate in periodi di imposta differenti, come alla presenza di costi di natura non monetaria, come gli ammortamenti), per giungere sino alla considerazione che una serie di uscite (ad esempio quelle per le spese dei veicoli) sono determinate sulla base di stime e statistiche, che ne determinano una possibile dimensione annua, ma non certo il momento di sostenimento.
Quindi, in sede di primo incontro con l’ufficio sembra sufficiente dimostrare l’esistenza “totale” della provvista che, unitamente al reddito prodotto, copre le spese presunte, con la ulteriore dimostrazione che la provvista pregressa, proprio per effetto delle spese superiori al reddito annuo, è calata alla fine del periodo. Non è invece necessario effettuare un preciso raccordo tra entrate ed uscite; ove ciò sia possibile, anche per grandi linee, si potrà ulteriormente rafforzare la posizione del contribuente.
Al ragionamento di cui sopra riteniamo possa essere assegnata una valenza generale. Ovviamente, l’attenzione dell’ufficio potrà spingersi verso altre tipologie di controlli nei casi in cui l’ammontare della spesa presunta sia derivante unicamente (o per la parte preponderante) da singoli atti di spesa noti all’anagrafe tributaria, non immediatamente raccordabili con le movimentazioni finanziarie.
Risulta altresì evidente che l’esistenza della provvista formatasi in anni ancora accertabili e non compatibile con la situazione reddituale di tali periodi, potrebbe determinare un dirottamento dell’attenzione del fisco su altri periodi, ma non certo il rigetto della giustificazione per l’annualità oggetto di verifica redditometrica.