11 Novembre 2014

Esportazioni indirette non imponibili anche oltre 90 giorni

di Maria Paola Cattani
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Con la
Risoluzione n. 98 del 11/10/2014, l’Agenzia delle Entrate ha fornito i chiarimenti da più parti richiesti, in relazione all’interpretazione delle previsioni dell’art. 8, 1° comma, lett. b), del DPR 633/1972, che disciplina le esportazioni di beni con trasporto a cura del cessionario non residente (c.d.
esportazione indiretta), alla luce della posizione assunta dalla Corte di Giustizia Europea con la
sentenza del 19 dicembre 2013, nel procedimento C-563/12.
In particolare, l’art. 8 citato stabilisce che le esportazioni indirette possono godere del regime di non imponibilità a condizione che i beni escano dal territorio comunitario entro 90 giorni dalla consegna al cessionario non residente e che, qualora non si acquisisca la prova dell’avvenuta esportazione, ovvero quest’ultima avvenga oltre i 90 giorni prescritti, il contribuente, per non incorrere nelle pesanti sanzioni previste (50% del tributo), è tenuto a regolarizzare l’operazione entro i successivi 30 giorni dallo scadere dei 90 giorni.
L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, fino a ieri, è stata che, quando la merce fuoriesce dal territorio dell’Unione Europea oltre i 90 giorni previsti, l’operazione è imponibile, a nulla rilevando la circostanza che la merce sia stata comunque esportata.
La citata sentenza della Corte di Giustizia esaminava la legittimità del termine di 90 giorni previsto dalla legislazione ungherese (pertanto, molto simile a quanto prescritto in Italia), ai fini della detassazione delle cessioni all’esportazione di cui all’articolo 146, paragrafo 1, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, e, più in generale, la possibilità per i singoli Stati membri di vincolare l’esenzione dell’operazione ad un termine per il trasferimento fisico dei beni all’estero, alla luce del fatto che il citato articolo della Direttiva CE non prevede una condizione in base alla quale il bene destinato all’esportazione debba lasciare il territorio dell’Unione entro un termine preciso.
La Corte di Giustizia ha ammesso che “
le esenzioni
previste ai capi da 2 a 9 del titolo IX di tale direttiva, di cui fa parte l’articolo 146 della stessa, si applicano alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso”, con il solo limite che “
gli Stati membri devono far ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa dell’Unione” e che “
anche se è legittimo che i provvedimenti adottati dagli Stati membri tendano a preservare il più efficacemente possibile i diritti dell’erario, essi non devono eccedere quanto è necessario a tal fine”.
Alla luce di tale indirizzo, pertanto, il fatto che “
una cessione di beni destinati all’esportazione sia assoggettata all’imposta in forza di una normativa come quella di cui al procedimento principale, qualora il bene in questione non abbia lasciato il territorio dell’Unione entro il termine previsto dalla stessa, non comporta, di per sé, che tale normativa debba essere ritenuta non proporzionata”, se l’operazione risulta non soddisfare le condizioni dell’articolo 146 entro un termine ragionevole stabilito dalla normativa nazionale.
Tuttavia, la Corte, pur ammettendo, quindi, la presenza di un termine al fine di verificare se il bene sia effettivamente uscito dal territorio della Comunità, ha ritenuto che “
una normativa nazionale (…) che assoggetta l’esenzione all’esportazione a un termine di uscita, con l’obiettivo, in particolare, di lottare contro l’elusione e l’evasione fiscale, senza per questo consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine, e senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell’Unione, eccede quanto necessario per il conseguimento di detto obiettivo”.
Di conseguenza, la Corte di Giustizia UE contesta la previsione della normativa nazionale che neghi il
beneficio della non imponibilità, nonostante
sia possibile dimostrare l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione, seppure dopo lo scadere del predetto termine, e di non
consentire il recupero dell’IVA corrisposta in sede di regolarizzazione.
L’Agenzia delle Entrate, quindi, preso atto dell’indirizzo della Corte europea, ammette con la R.M. 98/2014 che il regime di non imponibilità, proprio delle esportazioni, si applichi sia quando il bene sia stato esportato entro i 90 giorni, ma il cedente ne acquisisca la prova oltre il termine dei 30 giorni previsto per eseguire la regolarizzazione, sia quando il bene esca dal territorio comunitario dopo il decorso del termine di 90 giorni, purché sia acquisita la prova dell’avvenuta esportazione.
Viene inoltre ammessa la
recuperabilità dell’IVA nel frattempo versata in sede di regolarizzazione, alternativamente mediante l’emissione di una
nota di variazione ex art. 26, comma 2, del DPR 633/1972, entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta l’esportazione, oppure mediante
istanza di rimborso ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 546/1992, entro il termine di due anni dal versamento o dal verificarsi del presupposto del rimborso.
Infine, il contribuente potrà persino esimersi dal versamento dell’imposta, qualora la merce risulti esportata oltre i 90 giorni ma, comunque, entro i 30 giorni previsti ai fini della regolarizzazione e riesca a procurarsi prova dell’avvenuta esportazione.

 

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