Esterometro 2022: spese dei dipendenti pagate con carte di credito aziendali
di Roberto CurcuCon gli ultimi articoli pubblicati su questa rivista sono state illustrate, a grandi linee, le modalità di invio dei file del nuovo esterometro, per quanto riguarda le operazioni attive, le operazioni passive comunitarie e le operazioni passive extracomunitarie.
Per quanto riguarda, in particolare, le operazioni passive, la logica del sistema è che ogni qual volta si effettua un acquisto di beni o di servizi, che hanno territorialità italiana, e per i quali quindi il cessionario o committente italiano deve effettuare il reverse charge (quindi emettere una autofattura o integrare la fattura del fornitore estero), si deve effettuare una registrazione sui registri Iva che, con gli opportuni aggiornamenti software, può essere trasformata in un file XML da inviare a SdI sotto forma di esterometro.
Uno dei problemi che si pongono è quello per cui l’Agenzia delle Entrate, attenendosi al dato formale della norma, evidenzia che non solo le operazioni rilevanti ai fini Iva in Italia devono essere comunicate, ma devono esserlo tutti gli acquisti di beni e servizi da parte di soggetti stabiliti all’estero, indipendentemente dalla loro rilevanza Iva in Italia.
Il caso oggetto del contendere è quindi quello degli acquisti di beni fatti all’estero e che non entrano in Italia (ad esempio la merce triangolata all’estero, o l’acquisto di carburante per autotrazione effettuato all’estero), e l’acquisto di servizi non generici, con territorialità estera: alberghi esteri, ristoranti esteri, noleggi a breve termine di mezzi di trasporto messi a disposizione all’estero, biglietti per l’accesso a manifestazioni che si svolgono all’estero, trasporti di persone eseguiti interamente all’estero.
Con il nuovo esterometro, che di fatto riflette, in un file, le registrazioni Iva che vengono effettuate a seguito di un reverse charge (tanto che qualcuno lo chiama “autofattura elettronica”), ci si sarebbe aspettati che queste operazioni non sarebbero più state oggetto di comunicazione.
Invece, le specifiche tecniche, allegate ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, trovano il sistema per far sì che anche tali informazioni vengano inviate a SdI: se i files con “tipo documento” TD17, TD18 e TD19 vengono impropriamente chiamati “integrazione/autofatture”, e normalmente si inseriscono i dati di operazioni sulle quali si è fatto il reverse charge, tali files saranno da utilizzare anche dove il reverse charge non viene effettuato, e cioè per gli acquisti di beni e servizi da soggetti esteri, che non sono rilevanti in Italia.
Ad esempio, per le specifiche tecniche, se una società riceve una fattura da xxx Benelux, con Iva tedesca, per acquisto di carburante in Germania, dovrà inviare a SdI un documento TD19 dove verrà indicata la base imponibile, ed in luogo dell’imposta il codice N2.2, ancorché la normativa non imponga l’emissione di nessuna autofattura, né l’integrazione di quella del fornitore.
Se la stessa impresa riceverà da un albergo francese una fattura con Tva esposta, dovrà inviare a SdI un file TD17, con le stesse caratteristiche del precedente.
Premesso che nei casi sopracitati dovrà essere valutato se l’onere di comunicazione non costi più della sanzione per mancato invio (2 euro, sempre che venga rilevata l’omissione, e comunque riducibile ad un terzo in caso di acquiescenza), gli esempi riportati fanno riferimento a fatture intestate alla società.
Come comportarsi, quindi, quando la nota spese di un dipendente al ritorno da una trasferta all’estero ha allegati decine di documenti, non intestati all’azienda, per alberghi, ristoranti, noleggi, trasporti di persone ecc…?
Ad avviso di chi scrive, in queste situazioni non si può ritenere che la società abbia acquistato servizi alberghieri, di trasporto, di ristorazione ecc., ma queste spese costituiscano una integrazione del costo del personale, contabilizzata normalmente sotto la voce “trasferte dipendenti/amministratori”, tanto che i documenti di spesa in questione costituiscono per la società costi deducibili alla sola condizione che con la nota spese il dipendente/amministratore attesti che documentano spese sostenute durante la trasferta, e le date ed i luoghi di sostenimento delle spese siano congrui con la trasferta (circolare 326/1997).
La circolare citata fu scritta quando al dipendente/amministratore in trasferta veniva spesso consegnata una “mazzetta” di contanti come anticipo spese, e quindi il dipendente/amministratore utilizzava direttamente i soldi del datore di lavoro per sopportare la spesa.
Ad avviso di chi scrive, quindi, alla medesima soluzione si deve giungere quando, anziché contanti dell’azienda, si utilizzano carte di credito dell’azienda; in sostanza, chi scrive ritiene che non devono essere comunicate, in quanto non sono servizi acquistati dall’azienda, le spese di alberghi, ristoranti, ecc.. sostenute dal dipendente/amministratore, indicate in nota spese, con documenti non intestati all’azienda, anche se pagate con la carta di credito aziendale.
Nella prassi, l’azienda è in possesso di documenti a sé intestati, quando la spesa è sostenuta in Stati comunitari, a cui poi verrà chiesto il rimborso dell’Iva inclusa; è prassi, ad esempio delle aziende che sostengono ingenti spese per le principali fiere europee, che per questo genere di spese vengano richieste fatture intestate all’azienda, per poi chiedere il rimborso dell’Iva.
Meno frequente che il dipendente o l’amministratore chiedano la fattura intestata all’azienda per bersi un caffè durante la trasferta, e quindi tale spesa, nella logica sopra illustrata, non dovrebbe essere comunicata.
La situazione si complica per le ditte individuali ed i professionisti; infatti, ogni spesa che si sostiene in proprio, inerente allo svolgimento dell’attività, andrebbe comunicata.