Esterovestizione: possibile utilizzare l’interpello preventivo?
di Marco BargagliNella letteratura internazionale-tributaria, con il termine esterovestizione si intende una dissociazione tra la residenza formale e la residenza sostanziale del soggetto passivo (persona fisica, società di persone, società di capitale, enti e trust).
In buona sostanza, per ottenere un regime fiscale più favorevole, la persona fisica, la società o l’ente stabilisce la sua sede all’estero, dove sarà sottoposta a tassazione per i redditi ovunque prodotti nel mondo (in base al c.d. worldwide principle).
Al fine di arginare fenomeni di evasione fiscale internazionale, il Tuir (articoli 2, 5 e 73) contiene specifiche norme che individuano la residenza ai fini fiscali dei soggetti passivi (siano essi persone fisiche o società), in funzione di particolari criteri di radicamento con il territorio dello Stato italiano.
Per quanto riguarda le persone fisiche, l’articolo 2, comma 2, del Tuir, dispone che: ”ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.
Quindi, per realizzare il requisito della maggior parte del periodo d’imposta occorre superare, nel corso dell’anno, 183 giorni ossia 184 giorni in caso di anno bisestile.
Gli elementi che determinano la residenza fiscale delle persone fisiche in Italia sono:
- iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente;
- domicilio nel territorio dello Stato, definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, primo comma, cod. civ.);
- residenza nel territorio dello Stato, identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, secondo comma, cod. civ.).
Di contro, la residenza fiscale per gli enti diversi dalle persone fisiche (es. società di capitali, società di persone e trust) è disciplinata dagli articoli 5, comma 3, lettera d) e 73 del Tuir.
In particolare, per espressa disposizione normativa, il soggetto passivo sarà considerato fiscalmente residente in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (184 giorni), ha stabilito – alternativamente – la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Ciò posto, considerati i numerosi profili di incertezza applicativa della normativa in rassegna, gli addetti ai lavori si interrogano se il contribuente possa o meno consultare l’Amministrazione finanziaria con lo scopo di valutare, preventivamente, se vengono ravvisati i pertinenti elementi di collegamento del soggetto estero con il territorio dello Stato.
Sullo specifico punto la risoluzione AdE 312/E/2007 ha escluso che la fattispecie in rassegna possa essere oggetto di interpello preventivo.
Infatti, il citato documento di prassi testualmente recita: “Per quanto riguarda la prova contraria necessaria per superare la presunzione di “esterovestizione” di cui all’articolo 73, comma 5-bis …. si evidenzia che la stessa può essere offerta nella competente sede di accertamento e non tramite la procedura di interpello cosiddetto disapplicativo disciplinata dall’articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Ciò non solo perché la predetta dimostrazione è prevalentemente basata su elementi di fatto non agevolmente desumibili dalla documentazione su cui normalmente è incentrata l’analisi preventiva in sede di interpello, ma anche perché la procedura ex articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 è in genere esperibile per la disapplicazione di norme che incidono in maniera diretta ed immediata sul quantum dell’obbligazione tributaria, ossia di norme che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario e che per ciò stesso, a differenza della norma recata dall’articolo 73, comma 5-bis, che incide sulla soggettività passiva, impattano direttamente sulla determinazione del debito tributario”.
Premesso che l’articolo 37-bis del D.P.R. 600/1973, rubricato “disposizioni antielusive” è stato abrogato dall’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 128/2015, in vigore dal 2 settembre 2015 si ritiene che, per effetto delle argomentazioni logico-giuridiche richiamate nella citata risoluzione 312/E/2007, ancora oggi eventuali questioni interpretative relative alla esatta individuazione della residenza fiscale del soggetto passivo non possano formare oggetto di interpello preventivo, nelle varie forme attualmente previste dalla legge.
Tuttavia, tenuto conto della delicatezza del tema e dei correlati profili di incertezza, che in passato hanno generato aspri contenziosi tra Fisco e contribuente, sarebbe auspicabile che la vexata quaestio possa formare oggetto di approfondimento e confronto tecnico-operativo nell’ambito del nuovo regime di adempimento collaborativo, introdotto nel nostro ordinamento tributario dal D.Lgs. 128/2015, rubricato “Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente.
Il legislatore, in tale contesto, vuole infatti promuovere forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata tra l’Amministrazione finanziaria ed i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, con il precipuo scopo di ridurre il contenzioso e favorire, nel contempo, particolari forme di tax compliance in ambito fiscale.