Esterovestizione societaria: come eliminare la doppia imposizione
di Marco BargagliSulla base di un ormai consolidato orientamento espresso da parte della Corte di cassazione, per “esterovestizione” si intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale.
Quindi, l’esterovestizione (c.d. “Foreign-dressed companies”) è un termine che si riconduce a particolari tecniche di pianificazione fiscale internazionale, attuate mediante la costituzione di una o più società in un altro Stato estero, non solo localizzato nei paradisi fiscali, al solo scopo di ottenere un indebito risparmio d’imposta.
Tale fenomeno è stato più volte affrontato da parte della giurisprudenza di legittimità (ex multis cfr. decisione n. 2869 del 07.02.2013, n. 33234 del 21.12.2018, n. 16697 del 21.06.2019) la quale, attraverso un’interpretazione conforme ai principi tutelati dal diritto comunitario (ossia quello di non discriminazione, di libertà di stabilimento e di libera circolazione del capitale), ha inquadrato il tema in quello più generale e sovraordinato del “divieto di doppia imposizione” che scatta quando vi sia il rischio di imposizione da parte di più Stati delle medesime manifestazioni di ricchezza in capo ad un medesimo soggetto attraverso imposte identiche o similari (cfr. Corte di cassazione, decisione n. 10793 del 25.05.2016).
In definitiva, per l’Erario nazionale, il problema dell’esatta determinazione della residenza ai fini fiscali assume connotati di particolare rilevanza con riferimento agli enti societari, attesa la riscontrata diffusione di fenomeni di “esterovestizione” e, cioè, di quelle particolari fattispecie per cui una entità, pur avendo formalmente sede all’estero, presenta uno o più criteri legali di collegamento con l’ordinamento nazionale, in virtù dei quali la residenza fiscale può risultare radicata all’interno del territorio dello Stato (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 11 “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievi internazionale”, pag. 347 e ss.).
Le disposizioni tributarie previste in subiecta materia vanno valutate coordinando sia le norme domestiche che quelle internazionali previste dalle convenzioni bilaterali stipulate tra i vari Paesi che, nei casi di dual residence, consentono di eliminare fenomeni di doppia imposizione economica.
In ambito internazionale, con il precipuo scopo di risolvere i casi di conflitto di residenza tra i vari Stati, il Modello Ocse di Convenzione sui redditi prevede specifiche disposizioni che consentono di definire la residenza del soggetto passivo ai sensi della Convenzione internazionale.
Quindi, proprio gli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi hanno il dichiarato obiettivo di ripartire la pretesa tributaria tra i due Stati coinvolti, individuando da un lato lo Stato della residenza del soggetto passivo e, dall’altro, lo Stato della fonte che, generalmente, si impegna a ridurre ovvero a rinunciare al proprio potere impositivo.
In tale contesto giova ricordare che:
- l’articolo 73, comma 3, Tuir prevede che le società, gli enti ed i trust sono considerati residenti in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni), hanno in alternativa la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato (articolo 73, comma 3, Tuir);
- l’articolo 4, paragrafo 3 del modello Ocse di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi, nell’ipotesi in cui una società sia considerata residente in due diversi Stati, stabilisce che la residenza fiscale della persona giuridica debba essere individuata sulla base di un accordo tra le autorità competenti (denominato mutual agreement), che dovrà tenere conto del luogo di direzione effettiva (place of effective management), del luogo di costituzione (the place where it is incorporated or otherwise constituted) e di ogni altro fattore rilevante (any other relevant factors).
Interessanti principi di diritto circa la libertà di stabilimento in ambito comunitario sono individuabili nella recente ordinanza n. 8221/2022 pubblicata in data 14.03.2022, nella quale i giudici di Piazza Cavour hanno individuato un’ipotesi di esterovestizione di una società di diritto lussemburghese appartenente ad un noto Gruppo internazionale operante nel settore della moda.
Secondo l’ipotesi dell’Ufficio la società era “esterovestita” per una serie di elementi che inducevano a ritenere che l’oggetto principale delle attività economiche e di rapporti giuridici erano stabilmente collocati sul territorio nazionale e non all’estero.
Occorre anzitutto ricordare che affinché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale.
A livello comunitario la Corte di giustizia UE, con la sentenza del 28.06.2007, Planzer Luxembourg Sàrl, ha stabilito che la nozione di sede dell’attività economica “indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima” (punto 60), e che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica “la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società. Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie” (punto 61).
La Suprema Corte ha così chiarito che “in sintesi di tali principi può dunque affermarsi che, per l’ipotesi di fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero e, in particolare, in un Paese (nella specie Lussemburgo) con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale (cd. esterovestizione), l’articolo 4 della Convenzione Italia-Lussemburgo, ratificata in Italia con L. 747 del 1982, detta, per la residenza fiscale, una disciplina equivalente a quella di cui all’articolo 73 Tuir in quanto rinvia, come criterio generale, alla legislazione interna e, nel caso di accertata doppia residenza, dando prevalenza al criterio sussidiario della sede «effettiva» della società – coincidente con la nozione di «sede dell’amministrazione», contrapposta alla «sede legale» – intesa come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e dove si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente».