Esterovestizione societaria e stabile organizzazione occulta
di Marco BargagliNel panorama tributario internazionale sia la corretta determinazione della residenza fiscale del soggetto passivo, che l’eventuale presenza sul territorio dello Stato di una stabile organizzazione occulta, sono argomenti di fondamentale importanza e estrema attualità.
Sotto il profilo impositivo, una persona giuridica residente nel territorio dello Stato è assoggettata a tassazione per i redditi ovunque prodotti nel mondo, in base al noto principio della tassazione su base mondiale (c.d. “world wide taxation”).
La normativa domestica individua tre criteri, alternativi tra di loro, che consentono di individuare la residenza fiscale della persona giuridica: la sede legale, l’oggetto sociale, la sede dell’amministrazione.
In particolare, ai sensi dell’articolo 73, comma 3, Tuir, le società, gli enti ed i trust sono considerati fiscalmente residenti in Italia, quando per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni) hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Di contro, un soggetto non residente potrebbe avere una stabile organizzazione in Italia se, nel territorio dello Stato:
- esercita abitualmente un’attività d’impresa e rientra nei casi tassativamente previsti dall’articolo 162 Tuir (stabile organizzazione materiale), ad eccezione delle “ipotesi negative” (c.d. ausiliarie e preparatorie ex articolo 162, comma 4, Tuir);
- ha abitualmente il potere di concludere contratti per conto di un soggetto non residente (nell’ipotesi di stabile personale ex articolo 162, comma 6, Tuir), ad eccezione delle “ipotesi negative” (ex articolo 162, comma 7, D.P.R. 917/1986).
Ciò detto, dobbiamo valutare attentamente le eventuali conseguenze, sotto il profilo penale – tributario, che comporta la riqualificazione della residenza fiscale del soggetto passivo (c.d. esterovestione), nonché la constatazione di una stabile organizzazione occulta sul territorio dello Stato di un soggetto non residente e, in particolare, se le due fattispecie sopra considerate siano ascrivibili a fenomeni di evasione fiscale internazionale ossia possano essere qualificate come mera elusione fiscale.
Tale aspetto assume particolare evidenza nella considerazione che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, restando possibile solo l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.
Sul punto, si ricorda che ai sensi dell’articolo 10-bis L. 212/2000, configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.
Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi fiscali determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
Circa la rilevanza penale dell’esterovestizione societaria e della eventuale presenza sul territorio dello Stato di una stabile organizzazione occulta, si è recentemente pronunciata la suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2407/2018 depositata il 22.01.2018.
In seguito ad una verifica fiscale, l’Amministrazione finanziaria contestava la presenza di una stabile organizzazione occulta in Italia, da parte di una società di diritto tedesco.
Il supremo giudice, rigettando il ricorso del contribuente, tracciava il seguente iter logico – giuridico:
- l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale Iva da parte di società avente residenza fiscale all’estero sussiste se questa ha una stabile organizzazione in Italia;
- la presenza della stabile organizzazione in Italia di una società formalmente residente all’estero, deve essere desunta da elementi fattuali rilevanti ai fini dell’accertamento della presenza in Italia della sede delle decisioni strategiche, industriali e finanziarie (c.d. alta amministrazione), nonché di quelle più rilevanti dell’amministrazione della società.
Nello specifico, nel caso esaminato dagli ermellini era emerso che in Italia:
- si era realizzata la quasi totalità del fatturato relativo alle cessioni di beni effettuate dalla società estera;
- venivano stipulati i contratti con i clienti italiani;
- erano stati accesi i rapporti di conto corrente della legal entity estera;
- esisteva il centro direzionale dell’attività (infatti in Italia era stata reperita tutta la documentazione contabile, bancaria e commerciale del soggetto estero).
Quindi, ai fini Iva, tutte le cessioni poste in essere dalla società tedesca non potevano essere considerate operazioni intracomunitarie ma, per effetto dell’individuazione della stabile organizzazione in Italia, le stesse risultavano essere poste in essere tra soggetti operanti sul territorio nazionale, con conseguente imponibilità Iva.
In merito alla rilevanza penale delle operazioni constatate, i giudici di piazza Cavour hanno stabilito che:“l’aver omesso la relativa dichiarazione per i periodi di imposta oggetto di contestazione, rende evidente la configurabilità del fumus di cui all’articolo 5, D.lgs. n. 74 del 2000, essendo in Italia, come accertato, la sede della direzione effettiva della società. Del resto, questa Corte ha precisato che ai fini della integrazione del reato di cui all’articolo 5 D.lgs. 74 del 2000, l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di una società commerciale avente sede legale all’estero ma operante in Italia, non sussiste solo quando la sede della direzione effettiva della società non è situata nel territorio italiano, atteso anche quanto previsto dalle norme internazionali contro le doppie imposizioni fiscali”.
Infine, i supremi giudici hanno ritenuto non operante la disposizione prevista dall’articolo 10-bis L. 212/2000 che, come detto, sancisce l’irrilevanza penale dell’elusione fiscale e dell’abuso del diritto.
Infatti, conclude il supremo collegio, le operazioni abusive possono configurarsi solo quando non possano contestarsi violazioni di specifiche disposizioni tributarie, escludendo che, nel caso di specie, possa parlarsi “semplicemente” di abuso del diritto non codificato o di elusione fiscale, trattandosi di vera e propria esterovestizione, con conseguente violazione della norma tributaria penale di cui all’articolo 5, D.Lgs. 74/2000.