Evasione fiscale: il concorso del consulente nel reato
di Marco BargagliAi sensi dell’articolo 110, c.p., “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti”.
L’istituto giuridico del concorso nel reato può, quindi, sostanziarsi in qualunque forma di partecipazione all’altrui condotta criminosa, attraverso cui venga fornito – in tutte (o anche solo in alcune) delle fasi ideative, organizzative o esecutive – un contributo apprezzabile alla commissione del reato.
Quindi, per poter acquisire lo status di concorrente nel reato è richiesto, a fattor comune per tutti i partecipanti, il requisito della punibilità.
Ne consegue che il fatto penalmente rilevante viene attribuito a tutti i concorrenti e, allo stesso tempo, a ognuno di essi, così come avviene per l’irrogazione della pena.
La differenza di ruolo o di apporto non è comunque irrilevante, posto che il profilo di ciascuno di essi sarà valutato dal giudice in sede di determinazione della pena.
Come chiarito dalla prassi operativa (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume I, pag. 226), nella lettura giurisprudenziale, la struttura della fattispecie di concorso di persone postula la sussistenza congiunta dei seguenti requisiti:
- pluralità di concorrenti;
- realizzazione di un fatto reato;
- apporto di un contributo materiale o morale (psicologico) apprezzabile da parte di ciascun concorrente, idoneo per la realizzazione, con giudizio di prognosi postuma, anche di una soltanto delle fasi dell’attività criminosa;
- connessione causale tra gli atti del concorso e l’evento;
- sussistenza dell’elemento soggettivo, ossia la coscienza e la volontà di realizzare l’evento di cooperare nell’illecito.
La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 31 del 22 novembre 2000, nel vagliare la portata dell’articolo 110, c.p., ha chiarito che il concorso di persone, sul piano soggettivo, non richiede un previo accordo, ritenendo sufficiente soltanto la coscienza unilaterale del contributo fornito all’altrui condotta.
Tale consapevolezza “può manifestarsi indifferentemente o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro”.
La mancanza del previo concerto non condiziona, dunque, la configurabilità del concorso di persone nel reato, essendo idonea l’intesa, anche spontanea, intervenuta nel corso dell’esecuzione del fatto criminoso.
Delineato, seppur brevemente, il contesto normativo di riferimento, occorre valutare le responsabilità a carico del consulente fiscale che propone modelli di evasione fiscale al proprio cliente.
Sullo specifico punto, infatti, è prevista una particolare circostanza aggravante del reato, contenuta nell’articolo 13-bis, D.Lgs. 74/2000, che applica un aumento delle pene per alcuni delitti tributari, qualora il reato venga commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista, ossia da un intermediario finanziario o bancario, attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.
Tuttavia, per delineare compiutamente le responsabilità del professionista, è necessario che lo stesso fornisca un contributo attivo nella realizzazione dell’evento delittuoso.
Sul punto, nel corso del tempo, è emerso un orientamento espresso da parte della giurisprudenza di legittimità, che ha individuato precise responsabilità a carico del professionista in concorso nel reato, solo se la condotta da lui realizzata venga posta in essere nella piena consapevolezza, ragionevolmente ritenuta sussistente nel caso di specie, di contribuire materialmente al complessivo perfezionamento del reato e al perseguimento del fine specifico di evasione.
A tal fine, si riportano alcune sentenze espresse in apicibus da parte dei supremi giudici di legittimità.
Sentenza | Principi giuridici |
Corte di cassazione, sentenza n. 39873 del 26 settembre 2013 | Risponde di concorso nel reato il consulente che contabilizza nelle dichiarazioni dei redditi del cliente fatture che sapeva essere relative ad operazioni inesistenti. Il professionista aveva redatto i bilanci e le dichiarazioni fiscali della società cooperativa ed era ben consapevole del ruolo di mere “cartiere” svolto dalla emittente XXX S.r.l. (la cui sede sociale coincideva con il proprio ufficio) e dalla emittente XXX S.r.l. (la cui sede sociale coincideva con l’indirizzo di un amministratore nel frattempo deceduto). Le fatture, inoltre, già in sé stesse, erano oggettivamente tali da indurre sospetto in un commercialista appena avveduto, poiché in esse le attività fornite, a fronte di importi considerevoli, erano solo genericamente descritte. |
Corte di cassazione, sentenza n. 4383 del 10 dicembre 2013 | Il comportamento attivo del consulente fiscale ha determinato un rafforzamento del disegno criminoso. Quindi, per effetto della sua condotta, è aumentata la possibilità della commissione del reato. |
Corte di cassazione, sentenza n. 17418 del 28 aprile 2016 | Risponde di concorso nel reato di emissione di fatture false il professionista che suggerisce ai clienti di utilizzare i documenti fittizi al fine di abbattere il carico fiscale. |
Con la sentenza n. 28158/2019 del 29 marzo 2019, la Suprema Corte di cassazione ha confermato che il consulente fiscale può rispondere, in concorso con il proprio cliente, del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti qualora emerga che, anche sulla scorta di intercettazioni telefoniche, che il commercialista era a conoscenza della frode fiscale.
A parere dei giudici, per l’individuazione delle modalità di partecipazione concorsuale nel reato secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale, ma anche in caso di concorso materiale, “fermo restando l’obbligo del giudice di merito di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti”.
Quindi, per individuare la colpevolezza che integra l’elemento soggettivo del reato, è ormai pacifico e incontestato l’indirizzo secondo cui il “dolo specifico” richiesto per integrare il delitto di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, exarticolo 2, D.Lgs. 74/2000, è compatibile con il “dolo eventuale”, ravvisabile nell’accettazione del rischio che la presentazione della dichiarazione dei redditi, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.
Infine, giova ricordare che il medesimo consulente fiscale, come da lui stesso ammesso, aveva materialmente predisposto ed inoltrato la dichiarazione fiscale utilizzando fatture per operazioni inesistenti dalle quali erano scaturiti elementi passivi fittizi e la correlata Iva indebitamente detratta, sebbene «le conclamate modalità truffaldine di gestione contabile della società erano state acclarate, certificate e comunicate dalla Guardia di Finanza attraverso la verifica fiscale del luglio 2011».
In definitiva, i giudici di piazza Cavour hanno individuato il contributo causale del consulente che si è esplicato sotto un duplice profilo:
- compimento delle azioni costituite dalla predisposizione e dall’inoltro delle dichiarazioni fiscali contenenti l’indicazione di elementi passivi fittizi supportati da fatture per operazioni inesistenti, trattandosi di condotte di sicura agevolazione materiale;
- attività di supporto per la sistemazione documentale di gravi violazioni contabili: in particolare, la preoccupazione di «giustificare che la merce sta qua nel capannone, […] che ci stanno tutti questi movimenti e tutto il resto», o l’attivazione nel predisporre e «far passare» contratti, risultanti dalle conversazioni telefoniche intercorse con il coimputato, che risultano obiettivamente funzionali a supportare e rendere attendibili le fatture mendaci registrate in contabilità, successivamente confluite nelle dichiarazioni annuali dei redditi.
Sempre sulla base di tale solco interpretativo, giova evidenziare il più recente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 1028 del 10 gennaio 2025.
I giudici di piazza Cavour hanno confermato che il consulente fiscale risponde a titolo di concorso nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi commesso dal proprio cliente, nel caso in cui la frazione di condotta da lui realizzata, che può consistere nel fornire consigli sui mezzi giuridici idonei a perseguire il risultato o nel compiere attività dirette a garantire l’impunità o a favorire o rafforzare l’altrui proposito criminoso, sia stata posta in essere nella piena consapevolezza, ragionevolmente ritenuta sussistente nel caso di specie, di contribuire materialmente al complessivo perfezionamento del reato e al perseguimento del fine specifico di evasione.
In definitiva, scatta il concorso nel reato nel caso in cui la condotta realizzata dal professionista, che si concretizza nel fornire consigli sui mezzi giuridici idonei a perseguire il risultato o nel compiere attività dirette a garantire l’impunità o a favorire o rafforzare l’altrui proposito criminoso, venga attuata nella consapevolezza di fornire un contributo materiale al complessivo perfezionamento del reato e al perseguimento del fine specifico di evasione.





