25 Settembre 2024

Evasione fiscale: nessuna frode Iva in caso di fatture gonfiate

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Nella generalità dei casi, con il termine di frode fiscale ci si riferisce a dannose pratiche evasive, finalizzate ad ottenere un indebito risparmio d’imposta, attuate con modalità fraudolente, poste in essere da un’organizzazione criminale.

Nello specifico, come illustrato nel Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume I – parte I – capitolo 1 “Evasione e frode fiscale”, pag. 10 e ss., nella frode fiscale, ai fini Iva, sono ricomprese quelle fattispecie di reato sanzionate dall’articolo 2, D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), articolo 3, D.Lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) e articolo 8, D.Lgs. 74/2000 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).

In particolare, l’ordinamento penale – tributario prevede l’applicazione di gravi sanzioni a carico dei soggetti coinvolti consapevolmente in una frode fiscale, ossia:

  • la reclusione da 4 a 8 anni nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi (ex articolo 2, D.Lgs. 74/2000). Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono comunque detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Infine, qualora l’ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore a euro 100.000, si applica la reclusione da un 1 anno e 6 mesi a 6 anni.
  • la reclusione da 4 a 8 anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (ex articolo 8, D.Lgs. 74/2000). L’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato. Infine, qualora l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per singolo periodo d’imposta, sia inferiore a euro 100.000, si applica la reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.

 

Il D.Lgs. 87/2024 ha introdotto importanti novità, anche avuto riguardo al sistema sanzionatorio penale-tributario, formulando simmetricamente nuove definizioni rilevanti anche nel contesto della frode fiscale, così modificando l’articolo 1, D.Lgs. 74/2000 come di seguito indicato:

  • per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi;
  • per “elementi attivi o passivi” si intendono le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta;
  • per “dichiarazioni” si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche o di sostituto d’imposta, nei casi previsti dalla legge;
  • il “fine di evadere le imposte” e il “fine di consentire a terzi l’evasione” si intendono comprensivi, rispettivamente, anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta, e del fine di consentirli a terzi;
  • riguardo ai fatti commessi da chi agisce in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche, il “fine di evadere le imposte” ed il “fine di sottrarsi al pagamento” si intendono riferiti alla società, all’ente o alla persona fisica per conto della quale si agisce;
  • per “imposta evasa” si intende la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili;
  • le soglie di punibilità riferite all’imposta evasa si intendono estese anche all’ammontare dell’indebito rimborso richiesto o dell’inesistente credito di imposta esposto nella dichiarazione;
  • per “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” si intendono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’articolo 10-bis, L. 212/2000 (recante la disciplina sull’abuso del diritto e sull’elusione fiscale), poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte, ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti;
  • per “mezzi fraudolenti” si intendono condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà.

Ciò posto, interessanti principi di diritto che escludono la frode fiscale, sono stati recentemente diramati dalla suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 26520/2024, ove gli ermellini hanno sancito che le fatture che documentano acquisti di beni utilizzati per l’attività di impresa non sono “operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte”, solo perché i prezzi applicati sono superiori rispetto al valore normale di mercato.

Valutando l’orientamento espresso in sede di legittimità (Cassazione n. 1996/2007, Cassazione n. 1998/2019 e Cassazione n. 28352/2013), “oggetto della sanzione di cui all’articolo 2 del D.lgs. n. 74/2000, è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, tenuto conto dello speciale coefficiente di insidiosità che si connette all’utilizzazione della falsa fattura”.

Diversamente occorre valutare il caso in cui venga in evidenza l’eventuale valutazione della congruità dell’operazione, realmente avvenuta e regolarmente pagata, che non rileva ai fini dell’applicazione dell’articolo 2, D.Lgs 74/2000 (cfr. Cassazione n. 1996/2007).

In definitiva, secondo l’insegnamento della suprema Corte di cassazione, le fatture relative ad operazioni nelle quali i beni o i servizi indicati corrispondono a quelli ceduti o forniti e il prezzo è sì incongruo, ma effettivamente versato, descrivono invece in modo corrispondente alla realtà l’operazione eseguita, e, quindi, non implicano alcuna divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.

Quindi, anche in caso di fatture riportanti un importo “gonfiato” non realmente rispondente al valore di mercato dei beni compravenduti, non sempre si rientra nella fattispecie relativa all’emissione di una fattura, in tutto o in parte, relativa ad operazioni inesistenti.