Evasione fiscale e riciclaggio di denaro “sporco”
di Luigi FerrajoliLa lotta all’evasione fiscale passa anche per la nuova normativa antiriciclaggio, in vigore dallo scorso 4 luglio 2017, con cui è stata data piena attuazione alle indicazioni contenute nella IV Direttiva Antiriciclaggio n. 849/2015 ed alle Raccomandazioni dettate nel 2012 dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale – GAFI, istituito in seno all’OCSE.
Lo stretto legame esistente tra le condotte di riciclaggio e i reati fiscali era già stato a suo tempo messo in risalto dalla Cassazione con la sentenza n. 6061/2012 che, dopo aver precisato come le contravvenzioni e i delitti colposi non possano costituire il presupposto di quello di riciclaggio, ha sostenuto invece “che tutti i delitti dolosi, e quindi anche quello di frode fiscale, sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio”.
Alle pronunce della Corte si sovrappongono le opinioni dei più che, sul presupposto che dal reato fiscale deriva un mero risparmio d’imposta e non un reale incremento del patrimonio, hanno evidenziato le molteplici difficoltà correlate all’individuazione concreta dell’entità dell’importo di denaro successivamente reinvestito in attività illecite, in quanto esso sarebbe tale da confondersi con le altre disponibilità finanziarie dell’agente.
La IV Direttiva Antiriciclaggio sembra avere posto chiarezza sulla questione, inserendo i reati fiscali nel novero delle fattispecie che qualificano l’attività criminosa, idonee a divenire un presupposto del delitto di riciclaggio. Nello specifico, si definisce “attività criminosa” come qualsiasi coinvolgimento criminale nella perpetuazione dei delitti elencati tra cui sono compresi anche “i reati fiscali relativi a imposte dirette e indirette, quali quelli specificati nel diritto nazionale, punibili con una pena privativa della libertà o con un’altra misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima superiore a un anno ovvero, per gli Stati membri il cui ordinamento giuridico prevede una soglia minima per i reati, tutti i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi”.
Con il proposito di rafforzare le iniziative di contrasto all’evasione fiscale e al fenomeno di riciclaggio, il D.Lgs. 90/2017 è intervenuto ad intensificare i poteri della Guardia di Finanza in sede investigativa e a prevedere altresì la possibilità di trasmettere – e così di utilizzare – i dati acquisiti in ottemperanza alla disciplina antiriciclaggio anche da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Disciplinando le attribuzioni del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e della Direzione Investigativa Antimafia, l’articolo 9, comma 9, del novellato D.Lgs. 231/2007 stabilisce infatti che “i dati e le informazioni acquisite nell’ambito delle attività svolte ai sensi del presente articolo sono utilizzabili ai fini fiscali secondo le disposizioni vigenti”.
La circolare GdF n. 210557 pubblicata lo scorso 7 luglio 2017, mettendo in risalto la portata innovativa della disposizione contenuta nell’articolo 9, ha sottolineato come essa sia connotata, senza alcun dubbio, “da un maggiore perimetro applicativo rispetto a quanto disciplinato dal previgente art. 36 comma 6 che limitava l’utilizzabilità in campo tributario alle sole informazioni registrate dai soggetti obbligati”. Con ciò si intende far riferimento ai dati contenuti “nell’archivio unico informatico, nel registro della clientela ovvero nei sistemi informatici tenuti ai fini antiriciclaggio”.
Il nuovo testo dell’articolo 9 sembra, infatti, estendere sensibilmente “l’ambito oggettivo delle evidenze che si prestano ad un’utilizzazione fiscale diretta, includendovi tutte le informazioni acquisite nel contesto delle “attività svolte” ai sensi del citato art. 9”. Per informazioni si allude a quelle raccolte dalla Guardia di Finanza nel corso: a) delle ispezioni e dei controlli antiriciclaggio; b) dell’approfondimento investigativo di segnalazioni di operazioni sospette trasmesse dall’U.I.F..
È bene tuttavia precisare che il trasferimento dei dati ricavati da ispezioni fiscali dei dati e delle notizie deve avvenire in ogni caso nel rispetto degli adempimenti previsti dal D.Lgs. 231/2007 e in particolare di quanto sancito nell’articolo 38 che impone l’assoluta riservatezza del segnalante.
Sul punto è la stessa circolare GdF che ribadisce come la trasmigrazione delle informazioni possa avvenire «soltanto e tassativamente a conclusione di tutte le attività che i Reparti sono tenuti ad eseguire al fine di verifica del corretto assolvimento da parte dei soggetti obbligati degli adempimenti antiriciclaggio» nel rispetto assoluto del divieto di comunicazione dell’identità del segnalante. In nessun caso, quindi, l’utilizzo dei dati potrà determinare un disvelamento dell’identità del segnalante in violazione dell’articolo 38, D.Lgs. 231/2007.
La gestione del rischio fiscale diviene così argomento trasversale, tale da essere affrontato sotto molteplici aspetti che vanno dagli adempimenti meramente amministrativi (si pensi alla normativa del Tax Control Framework) sino a confluire con gli obblighi antiriciclaggio modificati da ultimo con il D.Lgs. 90/2017 e con i limiti sanciti dalla legislazione vigente rilevanti sotto il profilo penale.