Fabbricato rurale strumentale e terreni annessi
di Luigi ScappiniLa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11974 del 07.05.2019, torna a occuparsi di un tema dibattuto come è quello inerente la classificazione degli immobili quali rurali, nello specifico strumentali, offrendo un’interpretazione favorevole al contribuente ma che, tuttavia, non risolve nemmeno in parte le criticità che sono state oggetto, tra l’altro, di un recente chiarimento di prassi da parte dell’Agenzia delle entrate (nota del 15 gennaio 2019).
Come noto, si definiscono fabbricati rurali strumentali, ai sensi dell’articolo 9, comma 3-bis, D.L. 557/1993, le “costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile”.
La norma prosegue offrendo un’elencazione di tipologia di fabbricati che si considerano rurali strumentali, che deve essere considerata a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, atteso, tra le altre cose, la continua evoluzione del settore che determina il proliferare di nuove attività che si considerano agricole.
Sono tali, ad esempio, i fabbricati utilizzati per il deposito delle macchine e degli attrezzi agricoli, quelli per la protezione delle piante (i.e. le serre), per l’allevamento e il ricovero degli animali (i.e. le stalle), per l’attività agrituristica nonché alle attività connesse di prodotto.
In particolare, in quest’ultimo caso, il comma 3-bis, lett. i), considera tali gli immobili destinati “alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228”.
Il mondo dell’agricoltura ruota attorno al concetto di fondo, in assenza del quale, pur potendo un soggetto essere considerato quale imprenditore agricolo ai sensi dell’articolo 2135. cod. civ., non si può accedere al sistema agevolativo/semplificativo previsto per il settore.
Ecco che allora balza agli occhi come, a differenza di quanto previsto per i fabbricati rurali abitativi per i quali la norma (il precedente comma 3) in maniera espressa chiede l’asservimento dell’immobile a una superficie minima di terreno (10.000 metri quadri, ridotti a 3.000 in ipotesi di esercizio sul fondi di colture specializzate in serra o la funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero quando il terreno è ubicato in un Comune montano ex articolo 1, comma 3, L. 97/1994), nel caso dei fabbricati rurali strumentali questo rimando non è riscontrabile.
In realtà, a prescindere dall’assenza di un rimando letterale della norma alla necessità di una connessione dell’immobile con un terreno, è logico prevederla, in quanto il fabbricato deve porsi al servizio di un’attività agricola.
Il problema sorge quando si deve andare a individuare quale sia l’entità del fondo in quanto, se tale necessità non sussiste per le serre e le stalle, fabbricati per i quali la ruralità è fuori discussione, così non è per gli altri.
E la sentenza della Cassazione richiamata non risolve il problema in quanto, in maniera salomonica, si limita a statuire che “il carattere rurale dei fabbricati, diversi da quelli destinati ad abitazione, non può essere negato, ogniqualvolta essi siano strumentalmente destinati allo svolgimento di attività agricole contemplate dal citato Tuir articolo 29 (ora 32), od anche di quelle aggiunte dal D.L. n. 557 del 1993, articolo 9, comma 3 bis; a prescindere dal fatto che titolarità del fabbricato e titolarità dei terreni da cui provengono i prodotti agricoli coincidano con lo stesso soggetto”.
Oggetto del contenzioso, si deve precisare, era un fabbricato utilizzato da una cooperativa, con la conseguenza che la strumentalità, e la conseguente iscrivibilità nella categoria catastale D/10, necessitava del sussistere di una funzione produttiva connessa all’attività agricola che veniva svolta dai soci della cooperativa, requisito che si rivela “dalle caratteristiche proprie dell’immobile, delle pertinenze e degli impianti installati; che la tipologia del complesso sia tale da renderlo insuscettibile di destinazione diversa da quella originaria, se non ricorrendo a radicali trasformazioni.”.
Di nessuna rilevanza, invece, è la circostanza che l’impianto potrebbe svolgere ordinarie attività commerciali o industriali; anzi, a bene vedere, è naturale che sia così, in quanto si ricorda come le attività connesse nascono quali commerciali e solamente al ricorrere di determinati requisiti richiesti dalla legge, per finzione giuridica, si considerano connesse a quelle agricole ex se.
A chiusura si ritiene di poter concludere, in merito al requisito della sussistenza di un terreno per poter qualificare il fabbricato quale strumentale rurale, e quindi poterlo classificare quale D/10, che l’analisi deve essere necessariamente svolta caso per caso in ragione dell’attività agricola, fermo restando la presunzione assoluta di ruralità, ad esempio, per le serre e le stalle.