Fallimento non esteso agli ex soci di Snc
di Luca Dal Prato
Secondo la recente sentenza n.16169 del 15 luglio 2014 della Cassazione Civile, l’estensione del fallimento di cui all’art. 147 R.D. n. 267 del 1942 non è applicabile ai soci illimitatamente responsabili di una Snc che, in epoca antecedente al fallimento, hanno ceduto le proprie partecipazioni, nonostante detto atto di cessione sia stato risolto dal Tribunale.
La sentenza tratta il caso di un fallimento in estensione di ex soci di una Snc – dichiarato dal Tribunale di Lecce nonché confermato dalla Corte di appello di Lecce – in quanto veniva rilevato lo scioglimento del contratto di cessione di quote.
I giudici di via Cavour hanno però cassato la sentenza impugnata dagli ex soci che, nel proporre ricorso, hanno denunciato (tra i diversi motivi) la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt.10 e 147, insistendo sugli effetti dell’intervenuto decorso, al momento della dichiarazione del fallimento in estensione, del termine di un anno dall’iscrizione nel Registro delle imprese dell’atto con il quale essi avevano cessato di rivestire la qualità di soci.
Secondo la corte di cassazione, la risoluzione del contratto di cessione di quote non può far configurare i cedenti come soci della società anche nel periodo di tempo in cui le quote erano nella disponibilità del cessionario, con conseguente possibilità di esercizio da parte sua dei diritti sociali.
Volendo poi considerare le esigenze di tutela dei terzi, non può dirsi che questi ultimi, in presenza della iscrizione della cessione nel Registro delle imprese, potessero, fin quando non venisse data pubblicità alla successiva sentenza di risoluzione della cessione, individuare come soci altri soci se non il solo cessionario.
Invero, il regime di pubblicità degli artt. 10 e 147 LF valorizza l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche che non può essere messa in discussione dichiarando il fallimento, in estensione, di chi da oltre un anno non risulta più socio.
Secondo i giudici, quindi, non è possibile riacquistare tale qualità in conseguenza degli effetti retroattivi di una sentenza posteriore, senza che queste persone siano state, nel frattempo, soci di fatto o occulti.
E’ dunque sul patrimonio personale del cessionario – e non quello dei cedenti – che i terzi potevano legittimamente confidare ai fini della responsabilità illimitata e solidale delle obbligazioni sociali.
Pertanto, la risoluzione del contratto di cessione delle quote sociali non ha efficacia retroattiva tra le parti ai sensi dell’art. 1458 c.c. (“Effetti della risoluzione”) e il fallimento in estensione non può essere esteso sia al cedente che al cessionario di un contratto risolto, in quanto questo creerebbe una incompatibilità con il regime di pubblicità che (ex artt. 10 e 147 LF).
In merito, è possibile consultare anche le precedenti sentenze della Corte Cost. nn. 66/1999 e 319/2000.