25 Luglio 2015

Fallimento: somme ai professionisti ancora con incognite

di Comitato di redazione
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Quando un professionista deve fatturare i propri compensi in occasione della distribuzione delle somme contenute nel piano di riparto, si produce un evidente contrasto di interessi che sembra non essere superabile, nemmeno nella prassi operativa.

Ipotizziamo il seguente caso, con le dovute semplificazioni.

Il professionista Sig. Mario Rossi viene ammesso al passivo per un importo di 5.000 euro; a suo tempo non aveva emesso alcuna parcella, in quanto non pagato dalla società poi fallita.

Si badi bene che risulta importante il fatto che si tratti di un lavoratore autonomo; diversamente, nel caso delle imprese, sarebbe già stata emessa la fattura per i 5.000 euro + IVA, verrebbe pagato il solo imponibile, e l’impresa recupererebbe l’imposta mediante l’emissione di una nota di variazione ai sensi delle indicazioni a suo tempo fornite dall’Agenzia con circolare 77/E/2000, sia pure dopo avere atteso la definitività del piano di riparto dell’attivo predisposto dal curatore o dal commissario liquidatore.

Torniamo, allora, al caso del nostro professionista. Il curatore, al fine di poter erogare le somme spettanti, chiede il rilascio della fattura; come dovrà essere strutturato il documento da emettere?

Al riguardo si contrastano due tesi, l’una di natura ufficiale proveniente dall’Agenzia delle entrate, l’altra di natura informale dettata dalle esigenze di natura civilistica.

Il primo approccio, quello delle Entrate, è rinvenibile nella risoluzione 127/E/2008, avente ad oggetto un interpello nel quale si chiedevano proprio lumi in merito alle modalità di fatturazione da seguire nel caso prospettato.

Peraltro, in estrema sintesi, l’istante proponeva una soluzione del tutto simile a quella utilizzata per le imprese, vale a dire l’emissione di una fattura di 5.000 euro + IVA, l’incasso del solo imponibile (ovviamente nettizzato della ritenuta d’acconto) e la successiva sterilizzazione dell’imposta mediante emissione di una nota di variazione dell’imposta.

Completamente di diverso avviso l’Agenzia che, al riguardo, riscontra l’impossibilità di applicare la suggerita procedura per le seguenti ragioni:

  • la nota di variazione in diminuzione è disciplinata dall’articolo 26, secondo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, e si poggia sulla circostanza per cui “se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione …, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile… per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali… il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione registrandola a norma dell’art. 25”;
  • quindi, affinché sia possibile emettere la nota di variazione,  è necessario che – successivamente all’emissione della fattura ed alla sua registrazione – venga a mancare in tutto o in parte l’originaria prestazione imponibile. La variazione in diminuzione deve, infatti, essere rappresentativa sia della riduzione dell’imponibile che della relativa imposta.

Diversamente, una nota di variazione che tenga conto della sola imposta non riscossa andrebbe a scindere l’indissolubile collegamento esistente tra imposta ed operazione imponibile. La conseguenza paradossale di una tale ricostruzione sarebbe che, a fronte di un’operazione imponibile per la quale è stato interamente riscosso il corrispettivo, l’Erario non incasserebbe alcuna imposta sul valore aggiunto.

In definitiva, va ribadito il principio secondo cui il mancato pagamento a causa di procedure concorsuali deve essere, comunque, riferito all’operazione originaria nel suo complesso e, pertanto, non è possibile emettere nota di variazione per il recupero della sola imposta.

Ed, infatti, il comportamento suggerito risulta diverso e fondato sui seguenti spunti:

  • sul versante fiscale, il professionista che si insinua al passivo nell’ambito di una procedura concorsuale, è portatore di un credito complessivo per prestazioni professionali, composto da imponibile ed imposta sul valore aggiunto, elementi strettamente collegati tra loro da un nesso inscindibile;
  • se il piano di riparto, approvato dal giudice fallimentare, dispone il pagamento parziale del credito riguardante le prestazioni professionali rese ante fallimento, ancorché lo stesso faccia riferimento alla sola voce imponibile iscritta tra i crediti privilegiati, sotto il profilo fiscale, i professionisti emetteranno fattura per un importo complessivo pari a quello ricevuto dal curatore, dal quale andrà scorporata l’Iva relativa.

In altre parole, se l’importo liquidato dal giudice fallimentare risulta inferiore all’ammontare complessivo del credito professionale, comprensivo dell’IVA, il professionista al momento dell’emissione della fattura ridurrà proporzionalmente la base imponibile e la relativa imposta.

Seguendo tale impostazione, se 5.000 è l’importo da incassare, si dovrà provvedere allo scorporo evidenziando 4.098,36 di imponibile e 901,64 di IVA (per comodità è omessa la cassa di previdenza); ovviamente, sull’imponibile sarà applicata la ritenuta d’acconto.

Se questo è l’approccio fiscale, sull’altro versante non va trascurato il fatto che, sovente, i curatori fallimentari, ricevendo tale documento, non pagheranno materialmente i 5.000 euro, bensì solo i 4.098,36 (al netto della ritenuta), non potendo provvedere ad alcun pagamento a fronte di IVA.

Quindi, il professionista risulterà ulteriormente svantaggiato, in quanto:

  • la fattura è emessa, quindi l’imposta va a debito nella liquidazione ed è dovuta all’erario;
  • l’incasso ricevuto è parziale, in quanto inferiore a quanto indicato nel piano di riparto;
  • non potrà provvedere alla emissione di alcuna nota di variazione, per le motivazioni sopra esposte nella RM 127/2008.

In sostanza non se ne esce, poiché le possibili alternative sono le seguenti: disinteressarsi delle indicazioni dell’Agenzia, emettere la fattura e la nota di accredito (con rischio di contestazione in caso di controllo), oppure attenersi alle indicazioni delle entrate e lasciare sul tappeto una parte dei denari che non verranno erogati dalla procedura.

Ci pare evidente che una tale situazione non dovrebbe verificarsi, tenuto anche in considerazione che, molto probabilmente, il professionista avrà già subito una falcidia del proprio credito, cui si aggiungerebbe un ulteriore svantaggio fiscale.

Per sbloccare l’impasse sarebbe ovviamente necessario un approccio interpretativo che tenga conto delle esigenze del soggetto; che poi venga dal fisco o dal giudice interessa poco.

 

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