28 Luglio 2018

Fallisce l’ex imprenditore agricolo

di Luigi Scappini
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Come noto, una delle caratteristiche dell’imprenditore agricolo consiste nella sua non fallibilità, che si determina per via indiretta in quanto non rientra tra i soggetti che attualmente, ai sensi dell’articolo 1 L.F., il Legislatore ritiene fallibili.

A essi si rende, conseguentemente, applicabile l’istituto del sovraindebitamento come disciplinato dalla L. 3/2102.

La non fallibilità dell’imprenditore agricolo ha una propria efficacia sintantoché vi sia la copertura dell’articolo 2135 cod. civ., a prescindere dalla dimensione che il soggetto può assumere.

Ormai innumerevoli le sentenze sia di merito, sia di legittimità che depongono in questo senso: da ultimo ordinanze numero n. 17343/2017 e n. 9788/2016 e sentenza n. 24995/2010, con le quali i Supremi giudici evidenziano come sia sempre necessario indagare se sussistano o meno le caratteristiche di agrarietà delle attività svolte.

Infatti, se per le attività agricole cosiddette ex se questa problematica, tendenzialmente, non si pone mai così non è quando il nostro “imprenditore agricolo” svolge anche le cosiddette attività connesse, attività che nascono come commerciali e che al rispetto di determinati requisiti perdono tale caratteristica originaria per essere assimilate alle agricole.

Ma, affinché ciò accada, come anticipato, si devono manifestare 3 requisiti fondamentali.

In primis, le attività devono essere svolte da chi è imprenditore agricolo e quindi da un soggetto che di per sé esercita un’attività agricola, ovvero, alternativamente, la coltivazione del fondo, la selvicoltura o l’allevamento di animali.

Inoltre, tali attività devono essere coerenti e compatibili, da un punto di vista di comparto economico, con l’attività agricola principale esercitata. In altri termini, tale potrà essere sicuramente la produzione di marmellate di albicocche se l’imprenditore svolge, quale attività principale, la coltivazione di alberi da frutta. Al contrario, lo stesso non può dirsi nel caso in cui l’attività principale sia quella di allevatore di animali.

Ultimo requisito imprescindibile affinché l’attività sia considerata connessa è che sia rispettato il parametro della prevalenza, elemento innovativo introdotto a seguito della riforma del 2001.

L’attività dovrà sempre utilizzare prevalentemente prodotti ottenuti dalla propria attività principale.

Ma quali sono le attività connesse? Ai sensi dell’articolo 2135, comma 3, cod. civ., sono tali le attività “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali” a cui si aggiungono “le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Al rispetto di questi requisiti, l’imprenditore, essendo tale da un punto di vista civilistico, non può essere assoggettato alla disciplina del fallimento, a prescindere dalla dimensione che assume in termini di volume di affari, nonché dalla tipologia di reddito che produce.

Tale ultima precisazione deriva dalla circostanza che fiscalmente è possibile che il nostro imprenditore dichiari un reddito di impresa in quanto non rispetta i parametri richiesti esplicitamente dal Legislatore fiscale. Questo è il caso, ad esempio, dell’imprenditore agricolo che svolge l’attività di allevamento superando i limiti dettati dall’articolo 32, comma 2, lett. b), Tuir: da un punto di vista fiscale dichiarerà fino a copertura un reddito agrario e per l’eccedenza, a seconda della forma giuridica con cui esercita l’attività, un reddito ai sensi dell’articolo 56, comma 5, Tuir o ai sensi dell’articolo 55 Tuir, ma pur sempre un reddito di impresa. Tuttavia, per quanto qui di nostro interesse, egli è e rimane un imprenditore agricolo in quanto l’articolo 2135 cod. civ. non pone limiti in termini di rapporto capi allevati/terreno posseduto e/o condotto.

Ma ritornando alle attività connesse, l’assenza di un’attività agricola ex se comporta la mancanza di attivazione della   fictio iuris per l’attività “connessa” eventualmente svolta, la quale mantiene quindi la sua natura originaria di attività commerciale, con la conseguenza della fallibilità del soggetto che la esercita.

Tale è il caso oggetto della recente sentenza n. 25 della Corte di appello di Trento, sezione staccata di Bolzano, con cui è stato dichiarato fallito un imprenditore che aveva cessato di esercitare l’attività ortoflorovivaistica, limitandosi all’acquisto e importazione di partite di prodotti agricoli ai fini della successiva rivendita.

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