15 Febbraio 2014

Fattura di acquisto errata: che fare?

di Giovanni Valcarenghi
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Molto spesso accade che un soggetto acquirente o committente riceva una fattura, per operazioni di acquisto di beni o servizi, che non risulta perfettamente corretta nel suo contenuto. Per erroneità intendiamo due differenti casistiche: da un lato la possibile mancanza di alcuni elementi fondamentali del documento (ad esempio, una eccessiva genericità della descrizione degli addebiti), dall’altro un errore nell’imposta determinata, vale a dire l’indicazione di un maggior imponibile, oppure di una maggiore imposta rispetto a quella realmente dovuta.

Nel primo caso (fattura corretta nei “numeri” ma carente nella “descrizione”), ci si deve domandare se ci possono essere delle censure in merito alla detrazione dell’imposta; l’interrogativo sorge in merito al contenuto della sentenza della Corte di Giustizia UE dell’8 maggio 2013. Dalla richiamata pronuncia taluni fanno discendere un paradigma operativo: se la descrizione della fattura è carente, l’amministrazione può (in automatico) disconoscere la detrazione, senza peraltro che si renda ammissibile la richiesta di rimborso del tributo a favore dell’emittente o del ricevente.

A nostro giudizio, invece, la sentenza della Corte UE non può essere in tal modo interpretata, per il semplice fatto che è riferita alla direttiva comunitaria in vigore prima della rifusione e, peraltro, prima del recepimento della c.d. Direttiva fatturazione. In quello scenario, infatti, la precedente normativa consentiva agli Stati membri di introdurre delle ipotesi di contenuto minimale della fattura, la violazione delle quali potesse determinare la “sanzione indiretta” della non detrazione del tributo. Ma dopo le accennate modifiche, invece, tale libertà “sul contenuto” non esiste più e, per conseguenza, dovremmo anche concludere che non può più trovare applicazione la conclusione raggiunta dai Giudici comunitari. Pertanto, eventuali difetti “descrittivi” potrebbero casomai indurre ad una maggiore difficoltà nella prova della inerenza della operazione, anche se pare possibile ricorrere alla forza “integrativa” di altra documentazione estranea alla fattura, alla quale è possibile ricorrere per corroborare la avvenuta detrazione.

Di tutt’altra natura, invece, sono le difficoltà che discendono da quelli che abbiamo definito “errori sui numeri” della fattura, errori che possono essere rimediati, da parte del soggetto emittente, mediante la emissione di una nota di accredito (se ancora pendenti i termini dell’articolo 26 del DPR 633/1972), oppure con apposita istanza di rimborso extra (art. 21, decreto legislativo 546/1992).

Ma a noi interessa, particolarmente, approfondire le ripercussioni in capo al soggetto acquirente, il quale dovrà comunque rassegnarsi a dover convivere con un divieto di detrazione del tributo esposto sulla fattura (che in realtà in tutto o in parte non è imposta), nonostante (ma ciò non appare dirimente nel ragionamento) l’eventuale pagamento. L’unico modo per recuperare le somme è rappresentato da un rapporto esclusivamente privatistico tra soggetto cedente e soggetto acquirente; in mancanza di un accordo, si dovrà pertanto ricorrere ad un giudizio civile.

Pertanto, in conclusione, al ricevimento di una fattura di acquisto ogni operatore IVA deve attivarsi per effettuare due tipologie di controlli:

  1. uno sulla regolarità “descrittiva” della fattura, in relazione al quale non dovrebbe essere coinvolta la legittima detrazione del tributo. Attivarsi per richiedere una migliore precisazione della natura, qualità e quantità dei beni venduti o dei servizi prestati, aiuta comunque entrambe gli operatori, l’uno per evitare sanzioni sul documento, l’altro per corroborare la correttezza della detrazione;
  2. l’altro sulla regolarità “sostanziale” della fattura, in connessione alla quale va vista la legittima detrazione del tributo. Qui, oltre ad un raccomandabile scambio di opinioni con il soggetto che ha emesso la fattura, l’unico rimedio che appare possibile è quello di astenersi dal pagamento del tributo che si ritiene addebitato in eccesso rispetto alla misura corretta, oltre che evitare di operare la detrazione della medesima quota (poiché, ove esercitata, ci si esporrebbe ad un possibile contestazione da parte dell’Agenzia). Non scatta, invece, alcun obbligo di segnalazione alla Agenzia delle entrate (del tipo autofattura “denuncia”), in quanto il documento non è “irregolare” (da intendersi come carente dell’IVA).