27 Dicembre 2018

Fattura elettronica senza effetti sul reverse charge “esterno”

di Marco Peirolo
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Come precisato dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito delle risposte fornite il 15 novembre 2018, il passaggio all’obbligo di fatturazione elettronica, con effetto dall’1 gennaio 2019, non avrà effetto sulle operazioni soggette a reverse charge cd. “esterno”, le quali andranno però comunicate mensilmente all’Agenzia delle Entrate in applicazione del nuovo adempimento previsto dall’articolo 1, comma 3-bis, D.Lgs. 127/2015.

In base all’articolo 17, comma 2, D.P.R. 633/1972, l’obbligo di reverse charge si concretizza con:

  • la procedura di integrazione e di registrazione già prevista per gli acquisti intracomunitari di beni, quando il cedente/prestatore non residente è stabilito in altro Paese membro dell’Unione europea;
  • la procedura di autofatturazione, quando il cedente/prestatore non residente è stabilito in un Paese non appartenente all’Unione europea.

Nell’ipotesi in cui il cedente/prestatore sia stabilito in altro Paese membro, nella disciplina in vigore fino a tutto il 2012, l’imposta doveva essere assolta dal cessionario/committente italiano mediante la procedura di integrazione e di registrazione prevista dagli articoli 46 e 47 D.L. 331/1993, esclusivamente per le prestazioni di servizi “generiche”, di cui all’articolo 7-ter D.P.R. 633/1972, effettuate da un operatore comunitario nei confronti di un soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato.

Dal 2013, per effetto delle novità introdotte dalla L. 228/2012 (Legge di Stabilità 2013), la medesima procedura di assolvimento dell’imposta si applica sia alle cessioni di beni (diverse dagli acquisti intracomunitari che sono oggetto di una specifica disciplina), sia a tutte le prestazioni di servizi, anche non “generiche”, rese da un soggetto passivo comunitario nel territorio della Stato.

Dal 2013, quindi, il cessionario/committente nazionale deve (circolare 12/E/2013, Cap. IV, § 2):

  • numerare la fattura del fornitore comunitario e integrarla con l’indicazione del controvalore in euro del corrispettivo e degli altri elementi che concorrono a formare la base imponibile dell’operazione espressi in valuta estera, nonché dell’ammontare dell’Iva, calcolata secondo l’aliquota applicabile (articolo 46, comma 1, D.L. 331/1993);
  • annotare la fattura, come sopra integrata, entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricezione della fattura, e con riferimento al mese precedente, distintamente nel registro delle fatture emesse (di cui all’articolo 23 D.P.R. 633/1972), secondo l’ordine della numerazione, con l’indicazione anche del corrispettivo dell’operazione espresso in valuta estera (articolo 47, comma 1, D.L. 331/1993);
  • annotare la stessa fattura integrata, distintamente, anche nel registro degli acquisti (di cui all’articolo 25 D.P.R. 633/1972), al fine di esercitare la detrazione eventualmente spettante. In particolare, la fattura potrà essere annotata, ai sensi dell’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972, a partire dal mese in cui l’imposta diviene esigibile e fino alla scadenza del termine della dichiarazione annuale relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto (articolo 47, comma 1, D.L. 331/1993);
  • emettere autofattura entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, nel caso di mancata ricezione della fattura del fornitore comunitario entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, annotando il documento entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente (articoli 46, comma 5, e 47 comma 1, D.L. 331/1993).

Per effetto delle modifiche richiamate, valgono anche con riferimento ai servizi diversi da quelli “generici” i chiarimenti resi nella circolare 35/E/2012, laddove è stato precisato che la fattura emessa dal prestatore comunitario non residente può essere assunta come indice dell’effettuazione dell’operazione, cui va ricondotta l’esigibilità dell’imposta, che deve essere assolta dal committente italiano, a prescindere dall’effettuazione del pagamento.

Passando alla procedura di autofatturazione, la stessa resta obbligatoria quando il cedente/prestatore è stabilito in un Paese extra-UE. In particolare:

  • per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi non “generici”, l’autofattura deve essere emessa nel momento di effettuazione dell’operazione ed annotata (articoli 23, comma 1, e 25, comma 1, del D.P.R. 633/1972):
  • nel registro delle fatture emesse entro 15 giorni e con riferimento alla data di emissione;
  • nel registro degli acquisti anteriormente alla liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale nella quale viene esercitata la detrazione;
  • per le prestazioni di servizi “generici”, l’autofattura deve essere emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione (articolo 21, comma 4, lett. d), D.P.R. 633/1972) ed annotata (articoli 23, comma 1, e 25, comma 1, D.P.R. 633/1972):
  • nel registro delle fatture emesse entro il termine di emissione, ma con riferimento al mese di effettuazione dell’operazione;
  • nel registro degli acquisti anteriormente alla liquidazione periodica o alla dichiarazione annuale nella quale viene esercitata la detrazione.

È il caso di ricordare che l’obbligo generalizzato di reverse charge per le operazioni territorialmente rilevanti in Italia implica che l’Iva debba essere applicata dal cessionario/committente, soggetto Iva stabilito in Italia, anche quando il cedente/prestatore non residente sia ivi identificato direttamente o per mezzo di un proprio rappresentante fiscale.

In questo senso si è espressa più volte la stessa Amministrazione finanziaria, come per esempio nella circolare 37/E/2011 (§ 4.2), in cui è stato precisato che, dal 2010, l’Iva relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia – rese da soggetti non residenti (ad eccezione di quelle rese per il tramite di una stabile organizzazione in Italia) – deve sempre essere assolta dal cessionario/committente, quando questi sia un soggetto passivo stabilito in Italia, mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge, ancorché il cedente/prestatore sia identificato ai fini Iva in Italia tramite identificazione diretta o rappresentante fiscale.

In sostanza, il fornitore non residente non è titolato ad emettere fattura con addebito dell’imposta per le operazioni soggette ad inversione contabile, in quanto debitore Iva resta il destinatario del bene o servizio italiano.

Anche con il passaggio alla fatturazione elettronica, quindi, la posizione Iva italiana del cedente/prestatore non residente non può sostituire l’obbligo di reverse charge facente capo al cessionario/committente con l’emissione della fattura elettronica riportante l’addebito dell’imposta.

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