13 Luglio 2018

Fatture false e altri artifici: previsto il concorso fra i reati

di Angelo Ginex
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In tema di reati tributari, laddove nella stessa dichiarazione annuale siano indicate differenti tipologie di elementi passivi fittizi, sulla base dell’annotazione di fatture per operazioni inesistenti e dell’impiego di altri documenti diversamente rappresentativi di una falsa realtà contabile, i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici concorrono, in quanto la clausola di salvaguardia contenuta nell’articolo 3 D.Lgs. 74/2000 ha la funzione di connotare tale fattispecie dell’ulteriore elemento differenziale dato dalla necessità che i mezzi fraudolenti siano diversi da documenti attestanti operazioni inesistenti, non potendo determinare l’assorbimento di tale reato in quello previsto dall’articolo 2 dello stesso decreto. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza 25 maggio 2018, n. 23616.

La fattispecie disaminata dalla Suprema Corte trae origine dalla condanna di un soggetto, amministratore di fatto di una S.r.l., alla pena della reclusione, da parte della Corte d’appello di Trento, per aver commesso i reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale e i reati di esposizione di elementi passivi fittizi attraverso l’annotazione di operazioni inesistenti sia mediante fatture fittizie sia tramite altri raggiri, relativamente ad una dichiarazione Iva.

Egli, dunque, decideva di proporre ricorso in Cassazione, deducendo, tra gli altri motivi, l’impossibilità di considerare i reati de quibus fra loro concorrenti: secondo la linea difensiva del contribuente, infatti, la clausola di riserva presente nell’articolo 3 D.Lgs. 74/2000 comportava l’assorbimento della fattispecie attinente alle dichiarazioni fraudolente effettuate con altri artifici in quella effettuata tramite le fatture fittizie.

I giudici di legittimità hanno però escluso che la sola presenza dell’inciso “fuori dai casi previsti dall’articolo 2” nell’articolo 3 D.Lgs. 74/2000 possa esimere l’interprete dal considerare, ai fini della determinazione della sussistenza del concorso fra i reati in esame, l’esistenza di elementi strutturali che differenziano le due fattispecie criminose.

La funzione della clausola introduttiva dell’articolo 3 è quella di differenziare ulteriormente la fattispecie in esso descritta da quella enunciata dall’articolo 2, stante la necessità, avvertita dal legislatore, di non confondere i due reati, i quali hanno finalità, requisiti ed elementi differenti.

Sintetizzando il pensiero espresso dai giudici di piazza Cavour, potremmo dire che l’inciso iniziale dell’articolo 3 ha la precipua funzione di mettere in evidenza la differenza fra la fattispecie in esso descritta e quella contenuta nell’articolo 2, stante la necessità che i mezzi fraudolenti attraverso i quali sia stata effettuata la condotta proibita siano diversi rispetto ai documenti attestanti le operazioni inesistenti.

Dunque, il giudice, nell’esame delle diverse ipotesi di reato e nel decidere sul possibile assorbimento o concorso fra esse, deve avere a mente gli esatti confini di operatività delle fattispecie, non escludendo la possibilità di punire entrambe le condotte: è vero, infatti, che esiste una specifica clausola di salvaguardia nell’articolo 3, ma è altrettanto vero che occorre non limitarsi ad un’interpretazione meramente formalistica della norma, tenendo ben presente che quest’ultimo contiene, nella descrizione del fatto tipico, più elementi specializzanti rispetto alla fattispecie di cui all’articolo 2.

Detto diversamente, la Suprema Corte ha ricostruito il fenomeno del concorso fra i reati tributari in analisi andando oltre il mero dato testuale delle norme, in modo da dare rilevanza alla volontà del legislatore di tutelare l’interesse alla correttezza delle dichiarazioni in sede fiscale dalle molteplici condotte che potrebbero in concreto incidere su di esso.

Il criterio di discernimento esistente fra le due ipotesi consiste nella differenza fra i mezzi adoperati per giungere al risultato di aumentare fittiziamente l’ammontare del passivo dichiarato: mentre la fattispecie ex articolo 2 richiede l’esistenza di fatture o altri documenti falsi utilizzati per attestare operazioni in realtà inesistenti, facendo fede sull’elevato valore probatorio connesso a tale tipologia di documentazione, la fattispecie ex articolo 3 si basa su altri artifici, altrettanto capaci di alterare l’ammontare del passivo o dell’attivo dichiarato.

In definitiva, quindi, nell’ipotesi in cui un soggetto presenti sia una dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti, sia una dichiarazione fraudolenta attuata con l’ausilio altri artifici, è possibile punire entrambe le condotte criminose, in quanto la clausola di salvaguardia contenuta nell’articolo 3 D.Lgs. 74/2000 non comporta l’impossibilità del concorso col reato enunciato nell’articolo 2 dello stesso decreto.

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