Fatture false e ripartizione dell’onere probatorio
di Luigi FerrajoliIn tema di ripartizione dell’onere probatorio nelle contestazioni di fatture per operazioni inesistenti, all’Agenzia delle Entrate spetta la prova, anche in forma presuntiva piuttosto che indiziaria, della circostanza che l’operazione riportata in fattura non è in realtà stata – in tutto o in parte – effettuata; dopodiché l’onere di dimostrare l’effettività dell’operazione – così contestata – compete al contribuente e tale circostanza non potrà dirsi provata unicamente deducendo la regolarità formale della fattura stessa, della contabilità e dei mezzi di pagamento – trattandosi appunto dei mezzi fraudolenti normalmente utilizzati per fornire apparenza di realtà alla frode – bensì con altri elementi e circostanze riferiti alla sostanza dell’operazione.
Tale principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 2905 del 07.02.2018 in linea con l’orientamento consolidato della medesima Corte (cfr. Cass. n. 17818 del 09/09/2016; n. 21953 del 2007, n. 9784 del 2010, n. 9108 del 2012, n. 15741 del 2012, n. 23560 del 2012, n. 27718 del 2013, n. 20059 del 2014, n. 26486 del 2014, n. 9363 del 2015) che aveva fatto propri i principi già espressi dalla Corte di Giustizia Europea.
Nella fattispecie oggetto della pronuncia in esame una società aveva impugnato l’avviso di accertamento, rettificativo di Ires, Irap e dell’Iva, con cui era contestata la contabilizzazione e deduzione a fini d’imposizione diretta e detrazione Iva di fatture concernenti operazioni inesistenti rilasciate da società ritenute prive di effettiva consistenza aziendale, nonché l’indebita deduzione di costi non di competenza nell’anno 2004 e di non inerenza per spese per alberghi e ristoranti, per nolo di trivella, per acquisto di carburante non documentato e per spese di rappresentanza.
I Giudici di seconde cure, in riforma della sentenza di rigetto di primo grado, hanno accolto il ricorso con l’eccezione delle spese per alberghi e ristoranti e per le spese di rappresentanza eccedenti un terzo del loro ammontare, ritenendo che la fattura fosse documento idoneo a dimostrare un costo dell’impresa ai sensi dell’articolo 21 D.P.R. 633/1972 e, dunque, non spettasse al contribuente provare l’effettività dell’operazione ma all’Amministrazione dimostrare l’inesistenza della stessa e che tale prova non era stata fornita.
L’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione eccependo, tra l’altro, la violazione dell’articolo 2697 cod. civ. in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c. deducendo che la giurisprudenza della Corte di cassazione aveva affermato che grava sul contribuente l’onere di provare la legittimità e la correttezza delle operazioni dichiarate inesistenti.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo richiamando l’orientamento consolidato secondo cui in tema di operazioni ritenute (come nella specie) in tutto o in parte oggettivamente inesistenti – in relazione alle quali la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno – l’Agenzia ha l’onere di fornire elementi probatori, seppur in forma meramente indiziaria o presuntiva, del fatto che l’operazione fatturata non è stata mai effettuata (o lo è stata solo parzialmente), dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; con la puntualizzazione che tale prova non può consistere nella mera esibizione della fattura o nell’attestazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché la regolarità dei suoi profili formali è, normalmente, funzionale proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 5406/16; 28683/15, 428/15, 12802/11, 15228/01).
Al riguardo, la Cassazione ha inoltre ribadito che, sia in tema di imposizione diretta sia in tema di Iva, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa, solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’articolo 21 D.P.R. 633/1972.
Poiché, nel caso in esame, la natura di “cartiere” delle dette imprese collocate a monte della serie di cessioni era stata tratta dall’accertamento che entrambe avevano omesso di presentare le relative dichiarazioni, avevano omesso i versamenti annuali ed infra – annuali, avevano rilasciato fatture per ingenti importi per prestazioni i cui contratti di riferimento non erano stati registrati ed erano privi di causa, oggetto e dell’indicazione del corrispettivo, di conseguenza spettava alla società contribuente, che con tali imprese aveva intrattenuto rapporti commerciali, fornire la prova di aver svolto tali trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che si trattasse di soggetto realmente operativo; prova che però non era stata fornita.