Fatture oggettivamente false, obbligatorio il vaglio di tutti gli elementi della controversia
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
False fatture oggettive, il giudice di merito deve sempre analizzare gli elementi decisivi per comprendere la reale esecuzione di un’operazione asserita quale falsa. In assenza, la sentenza difetta sul piano motivazionale e necessita di essere riconsiderata. Queste le conclusioni della sentenza n. 4614 del 26 febbraio 2014 della Corte di Cassazione, che ha ribadito come, in tema di prestazioni che si ritengono mai eseguite, è necessario verificare tutti i parametri del contenzioso in esame, sia prodotti dall’Amministrazione Finanziaria che dal contribuente. Posto che la presunzione dell’amministrazione finanziaria può essere anche semplice (nel caso esaminato dalla Suprema Corte la contestazione dell’Agenzia delle Entrate si fondava sulle dichiarazioni dell’amministratore della società “cartiera” e sul riscontro dell’assenza della reale capacità operativa e organizzativa dell’emittente le false fatture), costante giurisprudenza ha sempre consentito al contribuente in buona fede di difendersi adeguatamente dimostrando, in maniera idonea, di aver realmente acquistato i prodotti e/o servizi in questione per l’ottimale svolgimento della propria attività [tra le tante, si veda la sentenza n. 17572 del 2009]. Tale prova difensiva è importantissima atteso che in presenza di presunte false fatture oggettive avvengono recuperi sia ai fini delle imposte sui redditi che ai fini IVA.
Nella controversia in commento si evince come la CTR interpellata non abbia vagliato tutti gli elementi proposti da parte dell’Agenzia delle Entrate, con particolare riguardo alla presenza delle risorse necessarie per eseguire le prestazioni fatturate. In particolare, si legge nella sentenza che il vizio motivazionale consta nella circostanza che “(…) le appena ricordate emergenze fattuali, che l’Agenzia aveva ribadito in fase di appello (…) hanno incrinato la logicità e congruenza della motivazione impugnata la quale, per converso (…) ha valorizzato l’assenza di prova da parte dell’ufficio circa l’inesistenza delle operazioni fatturate e la mancata contestazione dei documenti contabili e bancari dalla quale risulta l’esistenza delle operazioni. 10.16 Ora, a parte l’erroneità del riferimento alla contabilità dei contribuenti che, per giurisprudenza costante di questa corte, non può costituire parametro rilevante ai fini dell’esistenza dell’operazione, anzi costituendone il necessario dato di partenza (…) non pare potersi dubitare che l’omesso esame degli elementi decisivi (…) ha inficiato l’adeguatezza e congruità della motivazione (…)”.
Quanto appena riportato in estratto della sentenza in commento riassume il concetto cardine della giurisprudenza in materia di false fatture oggettive. L’amministrazione può muoversi in funzione degli elementi presuntivi raccolti. Il contribuente deve adeguatamente difendersi. Tutti gli elementi decisivi devono essere adeguatamente valutati: non rientrano tra questi sia l’esistenza dei documenti contabili, sia le modalità di pagamento.
Proprio in ordine alle modalità di pagamento, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha sottolineato:
- da un lato che il pagamento per contanti non può costituire indice di elusione fiscale (tra le altre, sentenza n. 28951 del 2008);
- dall’altro che la modalità di pagamento “tracciata” non rappresenta un elemento esimente, potendo tranquillamente trattarsi di una prova precostituita (tra le tante, sentenza n. 1134 del 2009).
In altri termini, se il pagamento con contante non è a priori indice di evasione (anche se è meglio avere pagamenti tracciati), in ogni caso, nell’ambito delle fatture false, il pagamento tracciato non rappresenta una valida esimente: di solito, l’accordo sottostante si fonda sulla restituzione di gran parte del pagamento effettuato.
La prova difensiva dunque deve essere concreta. In uno dei casi affrontati dalla giurisprudenza, è stato contestato ad una società l’utilizzo di false fatture per la realizzazione di un impianto fotovoltaico. In sostanza, una delle ditte fornitrici, verso altri soggetti, aveva emesso fatture di comodo. La società accertata ha dimostrato la sua estraneità e l’effettività degli acquisti eseguiti fornendo adeguate prove documentali (documenti di trasporto, stati di avanzamento lavoro, collaudi, etc) a dimostrazione della realizzazione dell’impianto e della reale ricezione dei prodotti, inclusi quelli provenienti dal fornitore “infedele con il fisco”.
Il suggerimento di carattere pratico è di evidenziare l’estraneità della società al disegno evasivo e la circostanza che la stessa si sia rivolta alla ditta fornitrice per ottenere i prodotti necessari alle proprie prestazioni, poi realmente eseguite. Fatto questo, potrà poi contestarsi all’amministrazione finanziaria anche il mancato assolvimento dell’onere probatorio in termini di riscontro di presunzioni gravi, precise e concordanti. Se infatti l’indagine del fisco, nel caso precedente, non si fosse ancorata alla mera “derivazione” (il fornitore emette fatture false e dunque tutte le fatture sono tali, senza bisogno di altri riscontri), sarebbe stato facile intuire che almeno nei confronti della società accertata le prestazioni erano state realmente eseguite, data la realizzazione dell’impianto.
Ciò posto, il caso analizzato nella sentenza in commento evidenzia potenzialmente un’ipotesi di falsa fattura, dato che l’Agenzia delle Entrate asserisce che il soggetto che ha emesso la stessa non ha affatto l’organizzazione operativa e commerciale per eseguire la prestazione. È evidente che la prova prodotta dal fisco è particolarmente forte ed è per questo che la Corte di Cassazione rinvia la causa alla CTR per l’adeguato vaglio della prova fornita.