Fatture soggettivamente inesistenti: il costo è deducibile?
di Marco BargagliL’articolo 2 D.Lgs. 74/2000 (rubricato dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) sanziona con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi che consentono di ridurre la base imponibile.
Come noto l’inesistenza della fattura può essere oggettiva, se la stessa documenta operazioni in realtà mai avvenute, in tutto o in parte, ovvero soggettiva, qualora l’operazione documentata sia in realtà intercorsa fra soggetti diversi da quelli risultanti dalla fattura medesima (cfr. circolare 1/2008 del Comando Generale della GdF, volume 2, pagina n. 147).
Sul tema della deducibilità dei costi da reato, citiamo un primo precedente espresso in sede di legittimità.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 19218 del 07/11/2012, ha confermato l’indetraibilità dell’Iva assolta sugli acquisti, in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, pronunciandosi anche in merito alla deducibilità dei costi sostenuti, tenuto conto delle modifiche apportate dall’articolo 8 D.L. 16/2012, che è intervenuto sull’articolo 14, comma 4-bis, L. 537/1993, riformulando integralmente la disciplina dei costi da reato.
Nello specifico, il giudice di legittimità ha affermato che: “In tema di Iva, è indebita la detrazione d’imposta relativa a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anche se la merce sia stata realmente acquistata ed i costi risultino effettivamente sostenuti, non essendo la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture una circostanza indifferente ai fini dell’Iva: da un lato, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente e, dall’altro, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza all’impresa, requisito mancante in relazione all’Iva corrisposta al soggetto interposto, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza» (Cass. n. 735 del 2010) .. omissis … Altrettanto non convincenti appaiono le deduzioni relative alla supposta rilevanza della modifica legislativa di cui all’art. 8, D.L. n. 16 del 2012, la quale riguarda la deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi e non la questione relativa alla detraibilità dell’Iva che costituisce l’oggetto dell’accertamento e, quindi, del giudizio”.
In tema di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 32/E/2012 – “§ 2.3 Riflessi della norma in tema di fatture soggettivamente inesistenti” – ha confermato che per effetto delle modifiche normative “l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.
Quindi, l’indeducibilità del costo opera qualora vi sia stato un diretto utilizzo dei beni o servizi per il compimento dell’attività delittuosa.
Di contro, i costi relativi all’acquisizione di beni o servizi che, ancorché documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non siano stati utilizzati per il compimento di alcun reato, sono deducibili se ricorrono i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dall’articolo 109 D.P.R. 917/1986 (inerenza, competenza, certezza ed obiettiva determinabilità).
Sempre con riguardo al tema della deducibilità dei costi sostenuti nell’ipotesi di fatture soggettivamente inesistenti, si è recentemente espressa la Corte di Cassazione, sezione terza penale, con la sentenza n. 53146 del 26/09/2017.
In tale ipotesi, gli ermellini hanno confermato che l’Iva risulta indetraibile, mentre il costo effettivamente sostenuto potrà essere dedotto dal reddito d’impresa.
In particolare, i giudici di piazza Cavour hanno testualmente affermato che: “va infine ricordato che mentre, con riguardo alle imposte dirette, l’effettiva esistenza dell’operazione e del conseguente esborso economico, corrispondente a quanto dichiarato, esclude il carattere fittizio degli elementi passivi indicati nella dichiarazione, a nulla rilevando in linea di massima che il destinatario degli stessi sia un soggetto diverso da quello reale, con riguardo invece all’Iva la detrazione è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che ha effettuato la prestazione, giacché tutto il sistema del pagamento e del recupero della imposta (artt. 17 e 18 del D.P.R. n. 633 del 1972) si basa sul presupposto che la stessa sia versata a chi ha effettuato prestazioni imponibili mentre il versamento dell’imposta ad un soggetto non operativo o diverso da quello effettivo consentirebbe un recupero indebito dell’Iva stessa .. omissis … Di qui, dunque, la conseguenza che l’evasione Iva può essere configurata anche in presenza di costi effettivamente sostenuti”.
In definitiva, a parere dei supremi giudici, dopo le modifiche intervenute con il D.L. 16/2012:
- ai fini Iva, l’imposta assolta sugli acquisti derivanti da fatture per operazioni inesistenti (oggettivamente e soggettivamente), risulta oggettivamente indetraibile;
- ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi alle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, a fronte di un reale acquisto della merce, sono deducibili dal reddito di impresa, rimanendo soggetti unicamente al vaglio dei requisiti previsti dalla normativa di riferimento (certezza, inerenza, competenza dei costi sostenuti).