Finanziamenti autovetture e verifica del pro-rata – II° parte
di Luca CaramaschiLe conclusioni raggiunte dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione 41/E/2011 e richiamate nel precedente contributo, poggiano sulla considerazione che le provvigioni maturate dalla concessionaria a fronte dei finanziamenti concessi ai propri clienti abbiamo natura “accessoria” rispetto ai proventi derivanti dall’attività principale di vendita delle autovetture.
Vediamo di seguito con quali criteri deve essere valutata la sussistenza di tale accessorietà.
Occasionalità e accessorietà delle operazioni finanziarie esenti
Come ha più volte ricordato l’Agenzia delle entrate in diverse pronunce (risoluzione AdE 204/E/2002; risoluzione AdE 273/E/2002; risoluzione AdE 286/E/2007), ai sensi dell’articolo 55 Tuir non può essere considerata occasionale l’attività economica esercitata per professione abituale, ancorché non esclusiva, tanto che la stessa può esplicarsi anche in un unico affare, che implichi il compimento di una serie coordinata di atti economici.
In merito al requisito dell’accessorietà va poi rilevato che la Corte di Giustizia Ue, con sentenza del 20.04.2004 (causa C-77/01) ha ritenuto che affinché un’attività possa essere definita accessoria non è rilevante che le operazioni compiute producano redditi d’impresa, né che tali redditi possano essere superiori a quelli conseguiti mediante l’attività indicata come principale.
Va, tuttavia, precisato che la stessa Corte, con sentenza dell’11.07.1996 (causa C-306/94), ha affermato che “… la non inclusione … delle operazioni accessorie finanziarie nel denominatore della frazione usata per il calcolo del pro-rata serve ad assicurare il conseguimento dell’obiettivo della perfetta neutralità garantita dal sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto …. se tutti i risultati delle operazioni finanziarie del soggetto passivo aventi un nesso con un’attività imponibile dovessero essere inclusi nel detto denominatore, anche qualora l’ottenimento di tali risultati non implichi l’impiego di beni o di servizi soggetti all’Iva o, almeno, ne implichi solo un impiego limitatissimo, il calcolo della detrazione sarebbe falsato”.
Sull’argomento la circolare 71/1987 ha chiarito che: “la nozione di ‘attività propria’, specie per le società, va assunta sotto un profilo prevalentemente qualitativo, intesa cioè come quella diretta a realizzare l’oggetto sociale e quindi a qualificare sotto l’aspetto oggettivo l’impresa esercitata, e sotto tale aspetto proiettata sul mercato e quindi nota ai terzi. (…)”. Da ciò consegue che le operazioni di natura finanziaria, finalizzate al raggiungimento degli scopi sociali, non possono essere considerate come attività propria dell’impresa, ma devono essere piuttosto qualificate come strumentali al migliore svolgimento dell’attività esercitata, in quanto rese a supporto di detta attività e tendenti alla più proficua realizzazione economica della medesima. Tale orientamento risulta peraltro confermato dalla Corte di Cassazione la quale, con sentenza del 28 maggio 2001, n. 7214, precisa che la natura accessoria dei finanziamenti può essere provata dal fatto che questi siano erogati sempre a favore di clienti “commerciali” e sempre finalizzati al solo acquisto di merci. In tal senso si esprime, altresì, la sentenza n. 11085 del 7 maggio 2008 della Corte di Cassazione, secondo la quale vanno escluse dal calcolo della percentuale di detrazione “tutte le attività che, pur se previste nell’atto costitutivo, siano eseguite solo in modo occasionale o accessorio per un migliore svolgimento dell’attività propria d’impresa”.
Un ulteriore elemento per valutare se l’attività finanziaria adottata quale forma di incentivazione dell’attività commerciale primaria sia da considerarsi anch’essa autonoma “attività d’impresa”, è quello di considerare se l’impiego di lavoro, beni e servizi rilevanti ai fini Iva sia tale da costituire una vera e propria organizzazione specifica per la gestione di tale attività (si vedano in proposito i contenuti delle due sentenze della Corte di Giustizia UE citate in precedenza).
In caso di risposta positiva, le prestazioni derivanti dalla proposta di finanziamenti assumeranno dignità di attività autonoma con la conseguenza che tali proventi esenti concorreranno alla formazione del pro-rata unitamente a quelli delle altre attività (in questo caso resta ovviamente impregiudicata la possibilità di optare per la separazione delle attività ai sensi dell’articolo 36 D.P.R. 633/1972).
Conclusioni
Sulla scorta di tali considerazioni, quindi, l’Agenzia ritiene che le operazioni di finanziamento poste in essere dalle concessionarie automobilistiche, così come i corrispettivi conseguiti per lo svolgimento dell’attività di intermediazione nelle operazioni di finanziamento, non debbano concorrere alla determinazione della percentuale di detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell’articolo 19-bis, comma 2, D.P.R. 633/1972, in quanto trattasi di prestazioni accessorie o strumentali all’acquisizione dei contratti di vendita dei beni relativi all’attività propria dell’impresa, esercitate con un limitato impiego di lavoro, beni e servizi (tali da non configurare un’organizzazione specifica).
Una recente conferma delle posizioni espresse con la risoluzione AdE 41/E/2011 è giunta dalla Suprema Corte di Cassazione la quale, con l’ordinanza n. 23811 dell’11.10.2017, ha cassato la decisione dei giudici di secondo grado secondo i quali i finanziamenti erogati dalle concessionarie auto dovevano concorrere al calcolo del pro rata di detrazione, e ciò a prescindere dalla composizione del volume d’affari e dalla composizione degli acquisti, intesa come grado di incidenza, rispettivamente, delle operazioni finanziarie esenti rispetto alle operazioni imponibili e degli acquisti imputabili alle operazioni esenti rispetto ai restanti acquisti.
A supporto delle proprie conclusioni la Cassazione ha richiamato i contenuti della pronuncia della Corte di Giustizia UE (causa C-378/15, caso Mercedes Benz Italia), secondo cui “la composizione della cifra d’affari del soggetto passivo costituisce un elemento rilevante per determinare se talune operazioni debbano essere considerate come «accessorie», ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, seconda frase, della sesta direttiva”, precisando però “che si deve altresì tener conto, a tal fine, del rapporto tra dette operazioni e le attività imponibili di tale soggetto passivo nonché, eventualmente, dell’impiego che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l’Iva è dovuta”.
Ulteriormente l’Agenzia, nella risoluzione 41/E/2011, precisa che tali conclusioni (che portano alla non applicazione del pro-rata generale) non trovano applicazione qualora i finanziamenti siano destinati a finalità diverse dall’acquisto dei beni oggetto dell’attività (come nel caso esaminato delle concessionarie automobilistiche).
In tali casi appare evidente come l’attività di finanziamento non possa essere ricollegata ad alcuna forma di incentivazione delle vendite e, quindi, non si possa attribuire ad essa un carattere di accessorietà rispetto all’attività propria dell’impresa.
Infine, è bene ribadire che in caso di non applicazione del pro-rata generale di detrazione, l’operazione esente produce comunque una limitazione al diritto alla detrazione: il criterio sarà quindi quello dell’afferenza e cioè dell’indetraibilità dell’imposta relativa ai soli beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare le operazioni esenti (per fare un esempio, laddove vengano sostenute spese di stampa per l’acquisto della modulistica necessaria alla sottoscrizione delle pratiche di finanziamento, l’Iva assolta sulla relativa fattura dovrà essere resa totalmente indetraibile in quanto riferita esclusivamente ad operazioni esenti).