Finanziamenti dei soci: come superare la presunzione di onerosità
di Giancarlo Falco
Sulla tematica dei finanziamenti da parte dei soci vi è da sempre un acceso dibattito riguardante il tema della loro presunta onerosità: qualora infatti sia previsto un obbligo di restituzione da parte della società, la disciplina è chiara nel ritenere che tali somme siano da identificare come somme date a mutuo ed, in quanto tali, è prevista la presunzione legale di onerosità delle somme e la conseguente percezione degli interessi da parte del mutuante.
Sul punto è chiaro l’art. 46 del Tuir quando stabilisce che: “Le somme versate alle società commerciali e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera b), dai loro soci o partecipanti si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo”.
Sulla base di questi presupposti normativi, molto spesso si assiste ad accertamenti nei quali i verificatori, dopo aver constatato la presenza di finanziamenti da parte dei soci, presuppongono la loro onerosità e, pertanto, accertano la mancata contabilizzazione degli interessi attivi sui finanziamenti erogati (a questo punto ritenuti fruttiferi), asserendo che la società in merito non ha provveduto ad indicarne esplicitamente l’infruttuosità.
Come si può superare tale presunzione?
La presunzione di onerosità del finanziamento può essere superata per il tramite della prova espressamente prevista dall’art. 46 del TUIR, ovvero l’indicazione esplicita della loro infruttuosità nei bilanci societari.
Il concetto è stato chiarito anche dalla Sentenza Cassazione n.12251 del 2010, in cui si legge che “atteso che la prova contraria alla fruttuosità del finanziamento non è libera, ossia non può essere data con ogni mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme stabiliti tassativamente dalla legge, la quale rinunzia alla suddetta presunzione sol quando risulti dai bilanci […] che il versamento fu fatto a titolo diverso dal mutuo”.
Dello stesso tenore è anche la Sentenza Cassazione n.2735 del 2011 in cui si precisa che la presunzione di onerosità può essere superata solamente attraverso l’indicazione di infruttuosità del versamento nei libri sociali senza che possono essere utilizzati altri mezzi di prova.
Con parere diverso si è espressa recentemente Assonime (approfondimento numero 11 del 2013), che ha sottolineato che la gratuità del mutuo deve risultare dall’accordo delle parti, ma non deve essere necessariamente provata mediante specifici mezzi di prova, né tantomeno attraverso una pattuizione scritta. Essa al contrario potrà essere addirittura ritenuta tacita quando per le circostanze del caso e per la qualità dei contraenti si può desumere la volontà di escludere il corrispettivo.
Interpretazione simile era stata fornita anche dalla CTR di Milano nella sentenza n. 55/18/2012 in cui si legge che “il rilievo relativo alla mancata contabilizzazione di interessi attivi per il finanziamento della partecipata appare infondato, atteso che tale supposta omissione era stata oggetto di accordo tra le due Società, come provato, indirettamente, dalla circostanza che la beneficiata non ha contabilizzato nelle detrazioni gli interessi passivi, così come da parte della ricorrente non sono stati imputati ricavi. In realtà l’Ufficio fonda il rilievo sulla circostanza che per tale operazione non vi fosse alcun accordo o contratto scritto tra le due Società, omettendo di considerare che, a mente dell’art. 1350 del c.c., fatta eccezione per alcuni contratti tipizzati e indicati nella norma stessa, tutti gli altri, purché non siano contrari a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume (art. 1343 c.c.), possono assumere la forma che le parti dovessero ritenere più opportuna, nel libero esercizio dell’attività d’impresa, costituzionalmente protetto, anche semplicemente in forma solo verbale”.
Pertanto, sulla base di quanto fin qui esposto, si può concludere come segue:
- non vi sono dubbi circa l’infruttuosità dei finanziamenti erogati quando tale condizione è riscontrabile, in maniera esplicita, all’interno dei bilanci societari e dei libri sociali;
- la presunzione di fruttuosità può essere vinta quando risulta in maniera chiara da contratti scritti e/o corrispondenza nella quale sia ben individuato lo specifico finanziamento infruttifero e venga conferita data certa ai documenti (apposizione di data certa, sottoscrizione autentica del Notaio o, molto più semplicemente, scambio di PEC tra socio e società);
- qualora mancassero le suddette condizioni, si può basare in sede contenziosa la propria difesa fondandola su qualsiasi altro mezzo di prova, laddove, come evidenziato da Assonime, le circostanze depongano comunque in tal senso.