Finanziamenti soci e imposta di registro
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariLe regole in materia di imposta di registro che riguardano i finanziamenti erogati dai soci alla società sono molteplici e dipendono anche dalla qualifica del soggetto che eroga il finanziamento. La prima fattispecie riguarda il finanziamento oneroso concesso da un soggetto passivo Iva (tipicamente la società controllate che finanzia la società controllata), nel qual caso l’operazione si considera rilevante ai fini Iva, anche se esente da tale imposta, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 1, D.P.R. 633/1972. In tal caso, stante la presenza dei requisiti Iva (presupposto oggettivo e soggettivo, nonché ovviamente quello territoriale) e in forza del principio di alternatività previsto nell’articolo 40, D.P.R. 131/1986, l’imposta di registro deve essere corrisposta in misura fissa (pari ad euro 200).
E si aggiunga che, come stabilito anche nella interessante sentenza della CTP di Treviso n. 36/03/12 del 7.6.2012, laddove l’atto di finanziamento sia redatto per scrittura privata non autenticata mediante scambio di corrispondenza, l’imposta è dovuta sono in caso d’uso, essendo escluso, quindi, l’obbligo di registrazione (articolo 1, comma 1, lett. a), della Tariffa, parte II, allegata al D.P.R. 131/1986). Nella citata sentenza della CTP di Treviso è poi precisato che, anche ove il contratto di finanziamento sia stipulato con scrittura privata non autenticata, non sussiste in ogni caso l’obbligo di registrazione poiché, a norma dell’articolo 5, D.P.R. 131/1986, sono soggetti a registrazione solo in caso d’uso le scritture private non autenticate che contengano soltanto disposizioni soggette ad Iva.
A differenti conclusioni si perviene, invece, nell’ipotesi in cui il finanziamento alla società sia erogato dal socio persona fisica che, quindi, non agisce in qualità di soggetto passivo Iva. In tale ipotesi, ai fini dell’imposta di registro, l’atto sconta l’imposta proporzionale del 3% prevista dall’articolo 9 della tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 131/1986 per gli “atti residuali” aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale. Tuttavia, l’obbligo di registrazione in termine fisso (30 giorni), sussiste solo se l’atto di finanziamento sia stipulato in forma di atto pubblico, scrittura privata autenticata o scrittura privata non autenticata.
Al contrario, se l’atto di finanziamento sia redatto in forma di corrispondenza, l’atto va soggetto a registrazione solo in caso d’uso, con conseguente “risparmio” dell’imposta del 3% che sarà appunto dovuta solo in caso d’uso (ipotesi non frequente nella pratica). Per completezza, si precisa che sono esclusi dal beneficio della registrazione in caso d’uso, anche se redatti per corrispondenza, gli atti aventi per oggetto cessioni di aziende o costituzioni di diritti di godimento reali o personali sulle stesse. Dall’analisi del quadro normativo emerge, quindi, che gli atti di finanziamenti soci redatti per corrispondenza godono di un regime fiscale privilegiato ai fini dell’imposta di registro, in quanto:
- se erogati da soggetti passivi Iva, l’imposta fissa nella misura di euro 200 è dovuta solo per la registrazione in caso d’uso, altrimenti nessuna imposta è dovuta in quanto non sussiste alcun obbligo di registrazione in termine fisso;
- se erogato da persone fisiche, l’imposta di registro proporzionale del 3% è dovuta anche in questo caso solo in caso d’uso, altrimenti nessuna imposta è dovuta in quanto non sussiste alcun obbligo di registrazione in termine fisso.
È interessante ricordare la sentenza n. 19799/2018 della Cassazione, avente ad oggetto un contratto di finanziamento che le parti non avevano registrato, in quanto ritenevano fosse formato per corrispondenza. Al contrario, l’Agenzia delle entrate sosteneva che era dovuta l’imposta di registro in misura proporzionale pari al 3% (ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 131/1986), in quanto il finanziamento non era stato redatto per corrispondenza, mancando la prova della spedizione.
In merito a tale aspetto, la Corte di cassazione, in aderenza ad un principio ormai consolidato (sentenza n. 30179/2017), ha dato ragione al contribuente, poiché il contratto può considerarsi formato per corrispondenza quando le parti si siano scambiati documenti che evidenzino la volontà unilaterale di un solo contraente e, pertanto, non contengano entrambe le sottoscrizioni sul medesimo documento. Al contrario, il contratto si considera formato mediante scrittura privata non autenticata, quando vi è un unico documento in cui risultano formalizzate le volontà di tutti i contraenti e le loro sottoscrizioni.
Tuttavia, secondo la Suprema Corte di cassazione, non è necessario che il rapporto “epistolare” tra le parti si attui mediante lettere spedite e ricevute, atteso che può considerarsi formato per corrispondenza, anche il contratto in cui le parti abbiano scambiato le proprie dichiarazioni di volontà anche con consegna a mano, poiché tale modalità esplica gli stessi effetti della spedizione. In buona sostanza, secondo la Suprema Corte di cassazione, risulta del tutto irrilevante la mancanza della prova dell’avvenuta trasmissione tra le parti dei documenti riguardanti la proposta di finanziamento e l’accettazione dello stesso. Ed è altrettanto irrilevante la circostanza, nel caso di specie, che le due società avessero la medesima sede legale, poiché si tratta di un elemento che nulla prova in relazione alle modalità di formazione dell’atto.