Finte associazioni: la sostanza prevale
di Carmen MusuracaGuido Martinelli
Continuano ad arrivare non solo dalle Commissioni Tributarie ma anche dai Tribunali amministrativi pronunce fondate sul principio della necessaria prevalenza della sostanza sulla forma in relazione ad accertamenti e verifiche svolte nei confronti di associazioni e circoli privati.
Di questo tenore è, infatti, la pronuncia del Tar per L’Emilia Romagna, sezione distaccata di Parma, del 2/12/2013 in virtù della quale se sussiste l’immediata possibilità nei locali di un’associazione culturale di consumo di cibi e di bevande o di partecipare ad attività di intrattenimento, il circolo non può più ritenersi luogo di privata riunione, avendo in tal modo perso un essenziale tratto distintivo rispetto al pubblico esercizio.
Il giudizio aveva avuto origine dal ricorso presentato da un circolo affiliato ad una associazione di promozione sociale a carattere nazionale avverso il provvedimento comunale con cui era stata disposta la sospensione e la conseguente chiusura dell’attività a seguito degli esiti di un’ispezione della polizia municipale.
In quella circostanza i pubblici ufficiali avevano accertato che chiunque accedeva al locale gestito dalla associazione, veniva contestualmente iscritto alla stessa previo pagamento di una quota associativa e poteva tranquillamente beneficiare dei servizi di somministrazione di bevande alcooliche oltre che assistere allo spettacolo di musica in essere.
In virtù di ciò, il dirigente aveva ritenuto che essendo nei fatti l’accesso al locale consentito a chiunque ed essendo imposto comunque il pagamento di un biglietto per lo spettacolo, l’attività del circolo si sostanziasse in quella di un pubblico esercizio e necessitasse pertanto della specifica autorizzazione mancante nel caso di specie, pertanto, disponeva la sospensione e la chiusura dell’attività.
Il circolo decideva di impugnare il provvedimento principalmente fondando la propria difesa sulla circostanza che l’ attività veniva svolta soltanto in favore degli associati e dei tesserati, a nulla rilevando, invece, il fatto che l’iscrizione avvenisse contestualmente all’ingresso, in ragione di ciò la pretesa autorizzazione per l’attività di somministrazione di alimenti e bevande non sarebbe stata necessaria e doveva quindi essere censurato il provvedimento opposto.
Il Tribunale Amministrativo, dopo aver richiesto delle integrazioni istruttorie documentali relative al libro soci, ai verbali del consiglio direttivo di ratifica delle ammissioni a socio svolte contestualmente all’ingresso nei locali dell’associazione, decide affermando che l’oggetto della controversia può essere ricondotto ad un’unica questione: se la contestualità o la prossimità temporale tra l’iscrizione all’associazione e la somministrazione di alimenti e bevande mantenga all’attività del circolo la natura di attività istituzionale di libera associazione o configuri, piuttosto, attività di pubblico esercizio.
Osserva il Collegio che “risulta palese che il tesseramento effettuato contestualmente all’ingresso rappresenta in sostanza un escamotage per consentire l’accesso al circolo ad una indistinta generalità di soggetti i quali, per il solo fatto di aver riempito un modulo di iscrizione e pagato una somma in danaro, ottenendo così una sorta di tessera provvisoria, vengono ammessi all’immediata fruizione dei servizi riservati ai soci. Si tratta, evidentemente, di una modalità aperta di acquisizione delle iscrizioni che contraddice il regime derogatorio di cui godono i circoli privati rispetto ai pubblici esercizi, dato che il presupposto legittimante tale regime è dato dalla limitatezza dei soggetti titolati a fruire delle somministrazioni erogate nell’ambito di luoghi non già aperti al pubblico, ma aventi la stessa tutela accordata al privato domicilio”.
Questa sentenza si unisce alla numerosa schiera di pronunce attraverso cui gli organi giudicanti stanno smascherando, se mai ce ne fosse ancora bisogno, il modus operandi illegittimo attraverso cui finte realtà associative celano, dietro il puntiglioso rispetto di tutti i requisiti e gli adempimenti di carattere formale richiesti dalle norme per potersi qualificare e godere dei regimi di favore riconosciuti ai sodalizi privati, delle vere e proprie attività ed esercizi che rendono servizi di vario genere in favore del pubblico indiscriminato.
Non sfugge più alle Corti la necessità di vagliare il dato sostanziale dopo avere verificato la sussistenza di quello formale, alla ricerca di quell’affectio societatis che non può non essere il nucleo fondante e sempre vivo di qualunque sodalizio privato rappresentandone la primaria ragione di tutela e di vantaggio accordato dalle norme, e che, se realmente esistente, è agilmente verificabile e dimostrabile non solo in sede ispettiva ma anche di fronte all’organo giudicante.