Fiscalità del recesso dall’impresa familiare
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariLa risoluzione n. 176/E/2008 si è occupata di analizzare il regime fiscale dell’eventuale recesso del collaboratore (coniuge) dell’impresa familiare. Nella fattispecie si trattava di un’impresa familiare composta dal titolare, il quale ha attribuito alla moglie e alla madre una quota di partecipazione agli utili rispettivamente pari al 25% ed al 24%. Nel corso dell’esercizio 2007, si è provveduto alla liquidazione della quota del coniuge, il quale intendeva recedere dal rapporto di collaborazione. Nell’istanza di interpello, si chiedeva di conoscere il trattamento fiscale ai fini Irpef della somma percepita dal collaboratore per la liquidazione della quota, e l’eventuale possibilità di dedurre tale importo dal reddito d’impresa.
Per comprendere pienamente la soluzione prospettata dall’Agenzia, la stessa ha evidenziato che l’impresa familiare, disciplinata dall’articolo 230-bis cod. civ., sia pure avente natura di impresa individuale, consente l’attribuzione ai familiari di una quota del reddito prodotto dall’impresa, purchè non superiore al 49%. Tuttavia, la quota di reddito erogata dall’imprenditore ai propri collaboratori non costituisce un costo deducibile per l’impresa, ma solamente una modalità di ripartizione dell’utile, in funzione dell’apporto di lavoro prodotto da ciascun familiare nella conduzione dell’impresa.
Conforme a tale ultimo orientamento, anche la risoluzione n. 233/E/2008, in cui è stato confermato che, anche se il reddito delle imprese familiari rientra tra quelli disciplinati dall’articolo 5 del TUIR (redditi prodotti in forma associata), ciò non significa che tale impresa sia di natura collettiva, in quanto la predetta assimilazione è funzionale solamente all’applicazione del principio di trasparenza. Nel caso di specie, sottolinea l’Agenzia nella citata risoluzione, la partecipazione assegnata a seguito del conferimento dell’impresa familiare spetta solo al titolare dell’impresa stessa.
Infatti la partecipazione all’impresa dei singoli familiari ha una rilevanza meramente interna nei rapporti tra l’imprenditore i familiari stessi, con la conseguenza che le somme liquidate dal titolare ad uno dei collaboratori non è riconducibile ad alcuna delle categorie reddituali. Da tale impostazione consegue quanto segue:
- l’erogazione delle somme da parte dell’imprenditore non genera alcun costo deducibile in capo allo stesso;
- le somme percepite dal collaboratore non rilevano quale reddito imponibile.
Relativamente alla conclusioni cui perviene l’Agenzia, si rendono opportune alcune considerazioni:
- la prima riguarda precedenti posizioni, conformi a quella in commento, espresse dalla stessa Amministrazione finanziaria in relazione all’ipotesi di conferimento dell’azienda (impresa familiare) in società. Sul punto, la C.M. n. 320/E/1997, ha affermato che il diritto di credito spettante ai collaboratori dell’impresa assume rilevanza meramente interna, con la conseguenza che non si ha alcuna conseguenza fiscale da tale sistemazione patrimoniale, né sul costo fiscale della partecipazione dell’imprenditore conferente, né sul reddito dei collaboratori “liquidati”;
- la seconda, invece, riguarda la risoluzione n. 64/E/2008, con cui l’Agenzia delle entrate ha finalmente messo la parola fine alla querelle riguardante la rilevanza fiscale, in capo alla società, delle somme pagate al socio recedente di una società di persone, per la parte eccedente il patrimonio netto di pertinenza del socio stesso. In tale ipotesi, al contrario della risoluzione n. 176/E, l’esistenza di un rapporto sociale comporta conseguenze fiscali, sia in capo al socio recedente, che percepisce una somma a titolo di liquidazione (rilevante per la parte che eccede il costo fiscale della partecipazione), sia in capo alla società, la quale può portare in deduzione la quota parte di tale somma che eccede il patrimonio netto di pertinenza di quest’ultimo;
- la terza, infine, attiene al fatto che il collaboratore dell’impresa familiare non detiene alcuna partecipazione sociale. Infatti, non esistendo alcun contratto sociale, non sussiste il vincolo societario tra titolare dell’impresa e suoi collaboratori. Tale peculiarità comporta quindi la non sussistenza di un costo fiscale della partecipazione, che deve essere contrapposto all’importo percepito in sede di liquidazione della “quota”, al fine di determinare l’importo rilevante in capo al collaboratore.
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