L’accordo di ristrutturazione, si intravede la falcidia
di Claudio CeradiniLa rubrica settimanale sulla crisi di impresa sta analizzando gli strumenti a disposizione dei soci per tentare di risanare l’impresa in difficoltà. Esaminato la scorsa settimana il piano attestato, si affronta oggi l’accordo di ristrutturazione
Con una situazione come quella delineata negli esempi delle scorse settimane, ed una LGD di quasi quattro milioni di euro, è perlomeno improbabile che un attestatore avveduto possa riconoscere i caratteri di fattibilità di un piano di risanamento puramente incentrato sul recupero della redditività e sulle operazioni di dismissione e ricapitalizzazione. Le risorse per il completamento del pagamento dello scaduto ai fornitori (3.300 in due anni, di cui nei conti sono stati inclusi solo i primi 1.650) mancano dopo il primo anno, ed inoltre l’applicazione degli stress test che i Principi di Attestazione impongono evidenzia una sensibilità alle variazioni rispetto al piano troppo significative, se rapportate all’obiettivo di recupero dell’equilibrio. E’ sufficiente che le vendite non crescano nella misura sperata, o che il margine si riduca, o che le politiche di credito con i clienti si modifichino, ed il fabbisogno finanziario sale in modo eccessivo rispetto alla capacità di copertura. E’ sufficiente che uno solo dei presupposti non si verifichi ed il piano salta, se poi sono più di uno i parametri che non dovessero tornare, gli effetti sarebbero disastrosi. Carenza di copertura e troppa incertezza quindi, oltre ad esigui spazi di manovra a fronte delle variazioni possibili. Commentando i principi di attestazione ne riparleremo, ma era fin dall’inizio chiaro che una “china” di quattro milioni è difficilmente scalabile senza intoppi, a fronte dei quali margini di sicurezza adeguati sono irrinunciabili e, qui, mancanti.
Lo stesso imprenditore preferirebbe rischiare i propri soldi, non pochi a fronte di un piano che offrisse un margine di sicurezza superiore nel suo risultato.
La Legge Fallimentare offre una possibilità: l’accordo di ristrutturazione del debito di cui all’art. 182bis. Nato ormai quasi dieci anni fa in occasione di una delle riforme epocali della disciplina fallimentare, è stato successivamente sostituito dall’art, 16, co. 4, D.Lgs. n. 169/2007 e poi ancora modificato dal D.L. n. 78/2010 (conv. L. n. 122/2010) e dalla L. n. 134/2012. Come già la rubrica lascia intuire, si tratta di un accordo, un contratto, che il debitore conclude con almeno il 60% dei creditori, e del quale richiede al Tribunale l’omologa, traendone benefici in ordine sia agli effetti protettivi sul patrimonio rispetto alle procedure esecutive individuali, in corso o in arrivo, sia anche al trattamento tributario dei relativi effetti, o perlomeno di alcuni. Problema non irrilevante, i creditori dissenzienti debbono essere pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa se scaduti, o entro120 giorni dalla scadenza.
E’ strumento contrattuale, che consente, per non dire presuppone, la richiesta ai creditori di un sacrificio, variamente configurato ma molto spesso costituito da una parziale rinuncia alla pretesa in linea capitale e/o una consistente dilazione. Il carattere dello strumento, che non è concorsuale, consente di raggiungere accordi con i diversi creditori che rispondano ad esigenze aziendali, passando il rigoroso rispetto della gerarchia delle prelazioni in secondo piano. Non è banale, come vantaggio, rispetto al più classico piano concordatario, che è invece concorsuale, perché consente una progettazione più libera.
E quindi la situazione potrebbe cambiare e non di poco.
Immaginiamo che l’accordo di ristrutturazione del debito si sostanzi:
- nei confronti delle banche, nell’impegno di mantenimento degli affidamenti e nella pattuizione del rientro dell’extra fido utilizzato abusivamente in 5 anni, unitamente alla concessione di un periodo di preammortamento su tutte le posizioni a medio termine.
- nei confronti dei fornitori, in due diverse pattuizioni:
-
- un rientro programmato in cinque anni per i fornitori strategici, che si decide di non falcidiare, che non sono sostituibili e per i quali peraltro anche il debitore è cliente importante
- una falcidia del 30%, con rientro in cinque anni per i fornitori molto esposti, ma sostituibili, che in caso di cessazione e liquidazione perderebbero di più (la previsione era il 40%, e tipicamente a consuntivo le cose peggiorano, non migliorano), e che quindi accettano. Alcuni fornitori minori, come spesso accade, non accettano, contando sul conseguente obbligo del debitore di saldare loro l’intero importo entro 120 giorni dall’omologa dell’accordo.
Quindi:
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Debito verso fornitori |
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Debito dopo l’ADR |
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Fornitori |
5.800 |
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4.500 |
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– strategici |
2.200 |
100% |
2.200 |
pagamento in 5 anni |
– piccoli |
1.000 |
100% |
1.000 |
dissenzienti, pagamento al 120mo giorno |
– rilevanti |
2.600 |
30% |
1.820 |
falcidia e pagamento in 5 anni |
Il fabbisogno finanziario lordo si riduce, più precisamente subisce il duplice effetto della falcidia per 1.300 e della distribuzione nel tempo consentita dalla dilazione.
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Ipotesi PA |
Ipotesi ARD |
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Anno 1 |
Anno 1 |
Anno 2 |
Anno 3 |
Crediti Vs clienti |
100 |
100 |
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Magazzino |
-500 |
-500 |
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Fornitori |
-1.650 |
-1.000 |
-804 |
-804 |
Rientro programmato fornitori strategici |
-440 |
-440 |
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Pagamento dissenzienti |
-1.000 |
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Rientro programmato fornitori falcidiati |
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-364 |
-364 |
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Variazione CCN operativo |
1.250 |
600 |
804 |
804 |
Manutenzioni straordinarie vitali |
350 |
350 |
0 |
0 |
Rimborso mutuo e finanziamento |
-200 |
0 |
-224 |
-224 |
Rientro negli affidamenti |
-600 |
0 |
-120 |
-120 |
Fabbisogno finanziario lordo |
2.400 |
950 |
1.148 |
1.148 |
La copertura finanziaria appare più agevole e la necessità della ricapitalizzazione distribuita nel tempo.
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Ipotesi PA |
Ipotesi ARD |
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Anno 1 |
Anno 1 |
Anno 2 |
Anno 3 |
Fabbisogno finanziario lordo |
2.400 |
950 |
1.148 |
1.148 |
Autofinanziamento |
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Risultato netto |
-250 |
-250 |
60 |
190 |
Ammortamenti / accantonamenti |
430 |
430 |
430 |
430 |
Totale |
180 |
180 |
490 |
620 |
Fabbisogno finanziario netto |
2.220 |
770 |
658 |
528 |
Copertura: |
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Finanziamento manutenzioni |
120 |
120 |
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Ricapitalizzazione |
1.300 |
700 |
600 |
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Cessione cespite |
800 |
800 |
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Totale copertura |
2.220 |
920 |
700 |
600 |
Eppure ancora il piano non è perfetto, e l’accordo di ristrutturazione non risolve tutti i problemi. La copertura del fabbisogno finanziario negli anni dal secondo in poi è per certa parte, non irrilevante costituita dai versamenti eseguiti dai soci per ricapitalizzare (700 e poi 600). E gli anni dopo? Per una parte certamente il risultato finanziario positivo accumulato nel triennio (differenza tra copertura e fabbisogno netto) aiuta, ma non basta. Contro un fabbisogno di 1.150 circa che tenderà a rimanere costante per il quinquennio pattuito, la copertura sarà costituita dal solo autofinanziamento, e dalla riserva di liquidità accumulata nel triennio.
E quindi delle due l’una, o ci sono concrete speranze di un autofinanziamento superiore, o forse, ancora una volta, i soldi non basteranno. Si tratta di capire allora se richiedere ai creditori un maggior sacrificio, o se individuare mezzi di copertura adeguati. Se nessuna delle due strade si rivelasse percorribile, allora diventa necessaria una misura ancora più drastica, e non facile, di natura, questa volta, concorsuale.
La vedremo martedì.