14 Novembre 2015

Il concordato di gruppo non c’è?

di Marco Capra
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In un
precedente intervento, ho rilevato come il legislatore non abbia fin qui regolato la
crisi di gruppo, se non relativamente alle grandi imprese ed ai gruppi bancari e assicurativi.
Invero, i professionisti che assistono i gruppi in crisi si trovano a dover gestire problematiche tutt’altro che banali.
Generalmente, si ritiene che ogni società debba predispone il proprio strumento di risanamento, che deve ricevere autonoma valutazione.
Secondo taluni, però, potrebbe essere redatto un unico documento fisico, che comprenda il piano di tutte le società coinvolte, ma con necessità di tenere distinte le
masse attive e passive per l’approvazione separata da parte dei creditori di ciascuna entità.
Nella redazione del piano – stante l’autonomia dei patrimoni – devono essere considerati i
conflitti di interesse tra i creditori di ciascun ente, le differenze tra le compagini, i rapporti di credito e debito infragruppo.
Insomma:
one company, one insolvency, one proceeding.
Ad ogni buon conto, nel vuoto normativo, la prassi ha messo a punto soluzioni più o meno originali per accomodare il concordato di gruppo.
Una, di cui subito dirò, pareva assai convincente, ma è stata sconfessata dalla Corte di Cassazione, 1^ sez. civ., con la
sentenza n. 20559/15 depositata il 13 ottobre 2015.
Ripercorriamo la vicenda.
Nel 2010, alcune società di capitali – appartenenti ad un primario gruppo cantieristico navale – conferivano i propri complessi aziendali a favore di una società in nome collettivo (costituita
ad hoc), ricevendo in cambio una partecipazione al capitale sociale della stessa e divenendone soci illimitatamente responsabili.
Il conferimento dei compendi creava una riserva di patrimonio netto positiva, derivante dalla differenza tra attivo e passivo conferito, ma senza, ovviamente, rimuovere la situazione di difficoltà finanziaria (ovvero di insolvenza), che si “trasferiva” al nuovo ente.
L’operazione avveniva al dichiarato scopo di presentare un ricorso per concordato preventivo per conseguire la conservazione e la continuità delle imprese, salvaguardandone patrimoni e occupazione, sotto condizione risolutiva rappresentata dalla mancata definitiva omologazione del concordato
[1].
Ed infatti, immediatamente dopo, la s.n.c. e le conferenti presentavano domanda di ammissione alla procedura di
concordato preventivo, ammessa dal Tribunale competente in ragione della sede della società di persone.
A distanza di circa un anno, nel 2011, la procedura di concordato preventivo era omologata. Nel medesimo anno, la Corte d’Appello dichiarava inammissibile un reclamo (dell’Agenzia delle Entrate) e respingeva gli altri (di taluni creditori, per così dire, privati).
La vertenza approdava in Cassazione, che ha stabilito in senso contrario al gruppo.
Ad avviso della S.C., “
precede l’esame dei motivi [della decisione]
la considerazione che il giudizio non avrebbe potuto essere proposto, atteso che l’ordinamento giuridico italiano, allo stato attuale della legislazione, non contempla il cd. concordato preventivo di gruppo”.
In punto di fatto, gli Ermellini ritengono che:
  • l’operazione ha inammissibilmente attratto tutte le società alla competenza del Tribunale in ragione della sede della s.n.c., in violazione dell’art. 161, c.1, l.f. (che non prevede deroghe alla competenza territoriale);
  • il concordato preventivo avrebbe dovuto riguardare individualmente le singole società, non la s.n.c. in unione con le sue socie, non ammettendosi un unico giudizio omologatorio;
  • il concordato preventivo della società non si estende ai soci illimitatamente responsabili, i quali beneficiano “solo” dell’effetto esdebitatorio ai sensi dell’art. 184, c.2, l.f. per i debiti sociali (e non per quelli personali);
  • in presenza di un concordato di diverse società, occorre tenere distinte le masse attive e passive, che conservano la loro autonomia giuridica, mentre gli attuati conferimenti hanno confuso i patrimoni, con l’effetto che i creditori delle società più capienti hanno concorso, inammissibilmente, con quelli delle società meno capienti;
  • le maggioranze per l’approvazione del concordato avrebbero dovuto essere calcolate in riferimento alle singole società.
Sicché, conclude la sentenza, “
la descritta operazione ha forzato il dato normativo – in particolare, gli art. 161 l.f. e 2740 c.c. – oltre i limiti che, a mezzo di una mera interpretazione ed in mancanza di una disciplina positiva del fenomeno (una legge che intenda disciplinare il concordato preventivo di gruppo dovrebbe verosimilmente occuparsi di regolarne la competenza, le forme del ricorso, la nomina degli organi, la formazione delle classi e delle masse), esso poteva ragionevolmente tollerare”.
Il decreto di omologazione del concordato è dunque
cassato, senza rinvio, “
perché l’azione non poteva essere intrapresa”.
Non c’è che augurarsi, a questo punto, che il tema sia presto all’attenzione del legislatore: si confida nella ormai nota
Commissione Rordorf, il cui schema di disegno di legge delega dedica
importanti novità alla disciplina concorsuale di gruppo.

 
[1] Si immagina, peraltro, che si intendesse usufruire della previsione dell’art. 184, c.2, l.f.: “
salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili”. Sul punto, pure si è pronunciata la sentenza qui in commento.
 
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