Lavoratori all’estero fra voluntary disclosure e ravvedimento
di Nicola FasanoI lavoratori che prestano la loro attività all’estero, rimanendo fiscalmente residenti in Italia, sono, per definizione, una di quelle categorie più interessate a valutare l’opportunità di aderire alla procedura di collaborazione volontaria “internazionale”. Ciò in quanto può essere accaduto che in passato non siano stati riportati in dichiarazione, in modo più o meno inconsapevole, gli assets (tipicamente si tratta di conti correnti, dossier titoli, stock options, una volta che è spirato il vesting period) e i relativi redditi esteri (quali interessi, dividendi, plusvalenze finanziarie ecc.) ma, in linea di principio, dovrebbe essere stato dichiarato il reddito da lavoro percepito o tramite ritenute da parte del sostituto di imposta italiano (per es. in caso di distacco) o tramite autoliquidazione, direttamente in dichiarazione, da parte dello stesso lavoratore.
Questo vuol dire che nella maggior parte dei casi ci sono da sanare solo le violazioni ai fini del monitoraggio fiscale e quelle reddituali in ordine alla mancata tassazione dei redditi, soprattutto finanziari, non dichiarati. Ne consegue che, dato il modesto ammontare degli importi dovuti a titolo di imposte, si dovrebbe escludere a monte il problema del raddoppio dei termini di natura “penale” (tutt’ora vigente stante il rinvio dell’agognata attuazione della legge delega sul punto), mentre l’ipotesi del raddoppio dei termini, di cui all’art. 12 del D.L. n.78/2009, in caso di detenzione delle attività in Paesi black list è in diversi casi disinnescata grazie alle recenti sottoscrizioni di accordi finalizzati alla scambio di informazioni (gli ultimi in ordine di tempo quelli con Svizzera, Liechtenstein e Monaco) che bloccano tale raddoppio sia sul versante delle imposte che quello del monitoraggio fiscale, grazie alla modifica da ultimo apportata dal decreto milleproroghe (D.L. n. 192/2014 convertito con modifiche dalla L. n. 11/2015) alla L. n. 186/2014.
La voluntary, pertanto si presenta più conveniente anche rispetto al nuovo ravvedimento “extralarge”, in particolar modo quando gli assets sono in Paesi black list con accordo, posto che:
- con il ravvedimento oltre l’anno la riduzione delle sanzioni sulle imposte è a un settimo o a un sesto a seconda degli anni da regolarizzare, che comunque restano quelli dal 2006 (con dichiarazione presentata) in avanti, mentre con la voluntary, nella migliore delle ipotesi, le sanzioni sono sempre ridotte a un ottavo e i periodi da regolarizzare sono quelli dal 2010 in poi;
- sul versante del monitoraggio fiscale, con il ravvedimento la sanzione base è quella del 6% (5% fino al 2007) prevista per i Paesi black list con il raddoppio dei termini che resta confermato (si retrocede fino al 2004), mentre con la voluntary la sanzione base su cui applicare le sanzioni e quella del 3% e si parte dal 2009.
Certo, va anche detto che se c’è stata l’omessa dichiarazione del reddito da lavoro l’ipotesi del ravvedimento potrebbe tornare utile (a patto che la dichiarazione sia stata presentata) in considerazione del fatto che in sede di ravvedimento è possibile scomputare il credito di imposta per le imposte pagate all’estero a titolo definitivo ai sensi dell’art. 165, Tuir, cosa che, salvo improbabili aperture che dovessero giungere in sede interpretativa da parte dell’Amministrazione finanziaria, non è possibile fare nell’ambito della voluntary stante il disposto dell’art. 165, comma 8, Tuir che preclude la detrazione del credito in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione nella stessa del reddito estero.
Per gli anni a partire dal 2012, in ogni caso, si potranno ravvedere l’IVIE e l’IVAFE che, in modo per la verità piuttosto opinabile, non rientrano nell’ambito oggettivo della voluntary.
Un discorso a parte, infine, deve essere fatto per i frontalieri che beneficiano di un regime di favore ai fini del monitoraggio fiscale, che approfondiremo in un prossimo intervento.