Recupero dell’Iva per accordi ristrutturazione debiti e piani attestati
di Davide DavidGiovanni TurazzaIl Decreto Semplificazioni ha introdotto la possibilità di recuperare l’Iva in ipotesi di mancato pagamento delle fatture a seguito di accordi di ristrutturazione dei debiti o di piani attestati anche dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione.
Nello specifico, l’art. 31 del Decreto (D.Lgs. n. 175/2014) ha modificato il secondo comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 633/1973, il quale ora così recita: “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”.
Il Decreto Semplificazioni entrerà in vigore il 13 dicembre e quindi le modifiche di cui sopra avranno effetto a decorrere da tale data, il che pone il problema, come si dirà successivamente, di individuare gli accordi di ristrutturazione e i piani attestati a seguito dei quali è ora divenuto possibile esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva.
Relativamente ai piani attestati si ricorda che la lettera d) dell’art. 67, terzo comma, della legge fallimentare (R.D. n. 267/42), ora richiamata dall’art. 26 del decreto Iva, statuisce la non assoggettabilità all’azione revocatoria per “gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; … il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore”.
In estrema sintesi, l’istituto del piano attestato, introdotto con i progressivi interventi legislativi che hanno recentemente riformato la legge fallimentare, consente ai soggetti che pongono in essere atti, ovvero ottengono garanzie o pagamenti, da imprese in crisi, l’esenzione dal possibile esercizio dell’azione revocatoria da parte della curatela del fallimento qualora successivamente dichiarato. Presupposto per l’esenzione sono la previa attestazione resa da parte di un professionista munito dei prescritti requisiti, nonché l’anteriorità del piano e dell’attestazione rispetto agli atti considerati ai fini dell’esenzione dalla revocatoria.
Si tratta di un istituto giuridico che non prevede alcun vaglio giudiziario e che unanimemente non viene considerato procedura concorsuale.
Per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione dei debiti, si ricorda che l’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942 prevede che “L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini: a) entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione”.
Nella Circolare n. 40/E/2008 l’Agenzia delle entrate ha svolto un’ampia analisi degli accordi di ristrutturazione.
Ritiene, condivisibilmente, l’Agenzia, che tale l’istituto valorizzi il ruolo dell’autonomia privata nella gestione della crisi dell’impresa, mediante la previsione di una procedura semplificata a carattere stragiudiziale sfociante in un accordo, stipulato dal debitore con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, la cui efficacia è garantita dal provvedimento di omologazione del Tribunale.
Più specificamente, gli accordi di ristrutturazione risultano caratterizzati da due fasi: la prima, a carattere stragiudiziale, nella quale debitore e creditori pervengono ad un accordo volto al risanamento dell’impresa mediante un regolamento consensuale della situazione debitoria; la seconda, a carattere giudiziale, nella quale l’accordo raggiunto, pubblicato nel registro delle imprese al fine di consentire la formulazione di eventuali opposizioni, è soggetto alla procedura di omologazione.
L’Agenzia continua poi con l’affermare che l’accordo ha natura contrattuale, risaltando il fatto che esso vincola esclusivamente i creditori che vi abbiano aderito. Per quanto concerne, invece, i creditori che non hanno aderito all’accordo, l’Agenzia evidenzia il fatto che l’art. 182-bis della L.F. prevede, come requisito di attuabilità dell’accordo stesso, la sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, vale a dire per l’intero, entro 120 giorni dall’omologa o dalla relativa scadenza, escludendo in tal modo qualsiasi effetto remissorio nei loro confronti.
L’Agenzia pone poi in evidenza il fatto che l’accordo deve essere pubblicato nel registro delle imprese e che acquista efficacia dal giorno della pubblicazione. Ed è solo da questo momento che per l’Agenzia si apre la fase più propriamente giudiziale della procedura in esame, quella del procedimento di omologazione, nel corso della quale il Tribunale effettua un controllo di legalità e correttezza della procedura seguita ma anche della concreta attuabilità dell’accordo, in particolare in relazione al regolare pagamento dei creditori estranei, ovvero decide sulle opposizioni formulate dai creditori e da ogni altro interessato entro i trenta giorni successivi alla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese.
In ragione della sua visione “autonomistica” degli accordi di ristrutturazione, per l’Agenzia delle entrate gli stessi non vanno quindi ricompresi tra le procedure concorsuali (vedasi, in tal senso, anche la Circolare n. 08/E/2009), il che escluderebbe la possibilità di applicare automaticamente a tali accordi le disposizioni fiscali specificatamente previste per le procedure concorsuali.
In altri termini, secondo l’interpretazione dell’Agenzia, agli accordi di ristrutturazione possono essere applicate le disposizioni statuite per le procedure concorsuali solo se tali disposizioni richiamano specificatamente anche gli accordi stessi.
Per completezza occorre peraltro evidenziare che, successivamente ai citati interventi dell’Agenzia delle entrate, si è andato affermando un indirizzo – rafforzatosi anche a seguito dell’evoluzione normativa successivamente intercorsa (in particolare con la previsione del periodo di protezione dalle azioni esecutive per i 60 giorni successivi alla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, introdotto con il D.L. n. 83/2012) – che ne sostiene l’appartenenza all’ambito delle procedure concorsuali, in ragione della loro finalità pubblicistica.
Tornando ora alla nuova possibilità di detrazione dell’Iva per il mancato pagamento di fatture a seguito di piani attestati o di accordi di ristrutturazione, vanno dapprima ripresi, per affinità, alcuni chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate a riguardo dell’analoga previsione riguardante le procedure concorsuali (fallimento, concordato fallimentare, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa) e le procedure esecutive.
Un primo aspetto riguarda i soggetti che possono esercitare il diritto alla detrazione, che, secondo l’Amministrazione finanziaria (cfr. Circolare n. 77/E/2000) sono solo i cedenti o prestatori che hanno partecipato al concorso. Da ciò consegue che presupposto per la detrazione dell’Iva è l’ammissione allo stato passivo del fallimento ovvero l’inserimento nell’elenco dei creditori del concordato preventivo.
Riportando tale assunto al caso dei piani attestati e degli accordi di ristrutturazione risulta quindi che possano esercitare il nuovo diritto alla detrazione solo i cedenti o prestatori che abbiano stipulato un accordo con il debitore con riconoscimento di una riduzione dei propri crediti, mediante espressa partecipazione all’accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis ovvero ad atto previsto nel piano attestato ex art. 67 (con conseguente pagamento solo parziale); non potranno invece trovare ingresso gli accordi stipulati con debitori che abbiano utilizzato detti istituti, qualora non siano stati posti in essere nell’ambito degli stessi.
Altro presupposto evidenziato dall’Agenzia per il recupero dell’Iva nelle procedure concorsuali ed esecutive è che l’imposta risulti da una fattura regolarmente emessa e registrata. Di conseguenza, non possono beneficiare della detrazione i soggetti che hanno certificato i corrispettivi con altri mezzi (in particolare, scontrini e ricevute fiscali). Il che vale certamente anche per la nuova detrazione dell’Iva prevista in relazione ai piani attestati e agli accordi di ristrutturazione.
Un aspetto particolarmente delicato è, invece, quello del momento nel quale sorge il diritto alla detrazione dell’Iva.
Relativamente sia alle procedure concorsuali che a quelle esecutive l’art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 prevede espressamente, quale presupposto per la detrazione, l’infruttuosità delle procedure stesse.
Tale presupposto è da far coincidere (secondo quanto indicato nella Circolare n. 77/E/2000 e nelle Risoluzioni nn. 155/E/2001, 89/E/2002 e 195/E/2008):
- per il fallimento, con la scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni (oggi da intendersi, dei reclami) al piano di riparto, ovvero, se il fallimento si chiude senza un piano di riparto, con la scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura;
- per il concordato fallimentare, con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione;
- per la liquidazione coatta amministrativa, con l’approvazione del piano di riparto;
- per il concordato preventivo, dal momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. In caso poi di fallimento per mancato adempimento degli obblighi assunti, il diritto alla detrazione sorge secondo i principi enunciati per il fallimento.
Per le procedure esecutive, il presupposto della infruttuosità viene, invece, ad esistenza, sempre secondo l’Amministrazione finanziaria, quando il credito del cedente o prestatore non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni esecutati, oppure quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura esecutiva l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione.