7 Aprile 2015

Il risanamento e gli strumenti disponibili

di Claudio Ceradini
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L’analisi della gestione del dissesto finanziario condotta nel corso della nostra rubrica sulla crisi di impresa è ormai all’atto finale: individuata la situazione di crisi ed analizzati i rapporti con banche, fornitori, dipendenti e Stato, per tentare di coprire il fabbisogno finanziario, i soci sono chiamati a decidere se continuare a rischiare. La scorsa settimana sono stati indicati gli elementi da soppesare nella valutazione, adesso è giunto il momento di agire.


 

L’esame della situazione svolto martedì scorso ha del desolante, una LGD notevole ed un valore prospettico prevedibile del capitale di risanamento (ERIS) poco attraente. In sostanza anche se il risanamento avesse successo, il valore creato al netto dei costi risulterebbe comunque limitato, perlomeno nel triennio. In una visione imprenditoriale di maggior termine le cose possono migliorare ovviamente, ma significa passare dal soggettivo, dimensione cui comunque ogni valutazione di questo genere appartiene, al futuribile, possibile, che il professionista non vede e non deve nemmeno guardare, perchè è territorio esclusivo di chi mette in gioco, in questa scelta, i propri soldi.

Il professionista si è limitato ai valori. Ha spiegato all’imprenditore che tenendo conto di quanto necessario per ricapitalizzare (1.300), il valore creato dopo tre anni potrà essere circa 757 (2.057 – 1.300), per ridursi a -724 se ponderato con una probabilità di successo del 70%. Che il -724 possa diventare maggiore di zero in misura soddisfacente senza ulteriori interventi è questione troppo aleatoria per costituire oggetto di ragionevole quantificazione, per misura e probabilità.

Liquidare significa arrecare un danno (LGD) ai terzi notevole (ELIQ era pari a -3.930, ricordate?) e la decisione dell’imprenditore è di provarci, vuole risanare. L’incarico al professionista adesso è quello di selezionare strumenti e verificare le possibili ipotesi di lavoro.

Partiamo quindi dall’inizio.

Una prima possibilità è limitarsi all’utilizzo di uno strumento che consenta, a chi con la società si relaziona, per favorirne il rilancio, di non rischiare di incorrere in, diciamo così, “incidenti”. Chi acquisti cespiti o asset e chi ottenga nuove garanzie rischia, in caso di insuccesso del piano di risanamento e successivo default, di incorrere nella revocatoria fallimentare, che rende inopponibile l’acquisto o la garanzia ai creditori. La conseguenza è evidente, la finanza erogata si trasforma in credito chirografo privo di titoli di prelazione, ed il bene venduto torna nella disponibilità dei creditori come se non fosse mai stato ceduto, e chi ha pagato… si insinui pure lui in chirografo. Se però garanzie e cessioni sono concesse ed eseguite in esecuzione di un piano attestato, prevede l’art. 67, comma 3, lett. d) L.F. che non siano revocabili in caso di successivo fallimento. Il piano é un atto unilaterale, unico tra gli strumenti anche solo meta-concorsuali. Un professionista terzo, indipendente ed in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 L.F. dovrà attestarne la fattibilità, oltre che la veridicità dei dati contabili. Torneremo sull’argomento nelle prossime settimane, anche perchè sono ancora freschi di stampa i Principi di Attestazione, che costituiscono autorevole riferimento del diligente attestatore, ma fin da ora va chiarito che questo strumento non ha nulla di taumaturgico, non aumenta le probabilità di successo, non riduce i debiti, se non per effetto di accordi stragiudiziali del tutto eventuali con qualche creditore, e non aumenta quindi le aspettative di valore creato alla fine del percorso. Ha il solo, e non trascurabile, effetto di evitare ai terzi il rischio della revocatoria fallimentare.

Un approccio più aggressivo, e troppo spesso irrinunciabile, è quello che integra l’espressione verificata martedì scorso con l’effetto, su patrimonio e in ultima analisi sul valore creato, della falcidia, concorsuale o meno, proposta ai creditori.

Facendo violenza, e ce ne scusiamo, alla impostazione accademica, la formula del capitale di risanamento (ERIS) potrebbe essere integrata includendo l’effetto di una falcidia (F) imposta ai creditori superiore a zero, ma inferiore alla LGD che la liquidazione imporrebbe (40%, per chi non ricordasse i numeri di martedì scorso).

 

ERIS = (ERIS,φ + F) x φ + (ELIQ + PA) x (1-φ)

 

In altri termini, l’imprenditore che decidesse di ricapitalizzare e di tentare il risanamento, potrebbe nel contempo, non senza talvolta rilevanti difficoltà, tentare di affiancare al suo sforzo quello dei creditori, che rinunciando in misura ridotta e “tollerabile” alle loro pretese renderebbero più consistente l’ipotesi di successo del piano. Il più consistente riequilibrio finanziario e la riduzione dell’indebitamento rendono, perlomeno teoricamente, più probabile che il risanamento abbia successo, a parità di previsioni di conto economico e di capacità di autofinanziamento. Volendo paragonare la valutazione eseguita martedì scorso con la nuova ipotesi, in cui alla ricapitalizzazione si affianca una falcidia del 10% avremmo un quadro più o meno come questo:

 

 

vecchia ipotesi

nuova ipotesi

φ

70%

80%

1-φ

30%

20%

 

 

 

ELIQ

-3.930

-3.930

ERIS,φ senza falcidia

757

757

PA

-250

-250

Falcidia in %

10%

Falcidia

980

(ELIQ + PA) x (1-φ)

-1.254

-836

ERIS,φ x φ

530

606

ERIS

-724

750

 

La falcidia del 10% che corrisponde ad un minor debito di 980 aumenta le probabilità di successo da 70% a 80%, almeno in teoria, migliora ERIS,φ e di conseguenza ERIS da -724 a +750. Una bella differenza. Il problema è trasformare la teoria in realtà.

Due strumenti possono fondamentalmente essere utilizzati, l’accordo di ristrutturazione del debito disciplinato dall’art. 182-bis L.F. e il concordato di cui all’art. 160 L.F., con la sua variante in continuità di cui all’art. 186-bis L.F. Molto diversi tra loro (il primo è convenzionale, il secondo concorsuale, giusto per capire quanto siano diversi) e tuttavia entrambi si basano tipicamente, anche se non necessariamente, sulla falcidia, più o meno significativa, proposta ai creditori. Il problema sono gli effetti collaterali. Sarebbe così efficace uno strumento che consentisse al sistema di pagare un prezzo così basso (F=10%) per un risultato così appagante (ERIS aumenta del 200%). Ed invece la realtà è diversa, un po’ per lacune tecniche degli strumenti, e molto per il ritardo con cui il sistema in generale (banche, clienti, fornitori, erario, etc.) li sta metabolizzando.

Andremo per gradi, partendo dal piano attestato, martedì prossimo.