14 Aprile 2015

Il risanamento e gli strumenti disponibili – seconda parte

di Claudio Ceradini
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Nel caso-tipo di gestione della crisi finanziaria analizzato nelle scorse settimane dalla nostra rubrica settimanale i soci sono giunti alla decisione di tentare di risanare. Si analizzano quindi i diversi strumenti a disposizione di imprenditori e professionisti per il risanamento e si parte oggi con il piano attestato.


 

Il piano attestato, come spesso si definisce lo strumento previsto dall’art. 67, comma 3, lett. d) L.F. ha uno scopo preciso, e serve solo se utilizzato in quei limiti. Se la decisione dei nostri clienti, che da qualche settimana conosciamo e assistiamo, fosse quella di intervenire con la ricapitalizzazione della società per tentarne il risanamento, senza ritenere necessario che a questo fine concorra anche un pur limitata falcidia del ceto creditorio, allora il piano attestato può essere un utile ausilio, e solo questo.

Il piano prevede, se ricordate, che sia dismesso un cespite non irrilevante, per un valore di 800, e che sia erogato un nuovo finanziamento, più modesto e pari a 120, a fronte di un investimento necessario per la prosecuzione dell’attività.

Chi, terzo, si proponga come potenziale acquirente del bene, potrebbe rischiare di incorrere in quello che martedì abbiamo definito come un “incidente”, decisamente fastidioso, la revocatoria fallimentare. In caso di fallimento, alcune operazioni poste in essere dal fallito nei sei o dodici mesi precedenti, con requisiti diversi ovviamente, sono inopponibili ai creditori, e quindi per loro è come se non fossero mai state eseguite. Immaginiamo la situazione di chi acquista, che dovrebbe restituire il bene e comprarlo, se proprio lo desidera, una seconda volta. Analogamente chi ottenga una garanzia a fronte di una qualsiasi pattuizione (nuova finanza, ristrutturazione, consolidamento, etc.) potrebbe esserne privato, non essendo tale circostanza opponibile ai creditori.

In questo modo, con questi rischi, è difficile che un piano di risanamento, che raramente non prevede queste circostanze, possa trovare attuazione. Troppo rischioso per un qualsiasi terzo consapevole e ragionevole. Ma in questo consiste il punto fondamentale, perché quelle stesse operazioni non sarebbero revocabili se eseguite in esecuzione di un piano attestato, disciplinato all’art. 67, comma 3, lett. d) L.F..

Si tratta di un piano di risanamento in piena regola, che deve poter consentire il recupero delle condizioni di adeguata consistenza patrimoniale e redditività, presupposti ineludibili dell’equilibrio finanziario. Si chiama “piano attestato” perché un professionista rigorosamente indipendente deve constatarne la fattibilità oltre che la veridicità dei dati contabili. Poiché i requisiti che l’attestatore deve avere, per espressa disposizione normativa, sono tipicamente contabili, alcuni aspetti di cui abbiamo già quale settimana fa riferito rimangono centrali. E’ anche in questo caso indispensabile che l’attestatore sia sensibile alla verifica di questioni preliminari che non trovano risposta nel suo bagaglio né professionale né probabilmente, fatte le dovute eccezioni, di esperienza. L’analisi di approccio al mercato del debitore, della modalità con cui si rapporta con clienti, fornitori e risorse interne, richiede un intervento ad hoc. Lo abbiamo già detto, ma vale la pena ripeterlo: è la base del risanamento, la differenza tra una pura speranza ed un piano ragionevole. E’ perfettamente inutile verificare i calcoli del fabbisogno e accertarsi che vi sia copertura, se non si ha contezza della chiarezza dell’impostazione di mercato. Tra gli altri Leonardo Buzzavo (Docente di Strategie, Ca’ Foscari, Venezia), Carlo Bagnoli, (Docente di Economia Aziendale, Ca’ Foscari, Venezia), Giovanni Comboni (Docente di Marketing Strategico, Bocconi, Milano) da tempo segnalano la rapidità della evoluzione del marketing e pochi, troppo pochi, per non dire quasi nessuno, riflette su questi aspetti prima di giudicare della fattibilità di un piano.

Se a questo aggiungiamo il fatto che normalmente si affronta la situazione quando è già in uno stato difficilmente recuperabile (continuando con la metafora, “normalmente il toro lo si prende per le corna, o sarebbe meglio dire ci si prova, quando è già abbondantemente infuriato”), il quadro, nelle sue linee essenziali, appare completo, e appaiono chiare anche le ragioni per le quali pochi piani alla fine riescono a reggere al momento dell’implementazione, rivelandosi troppo spesso solo l’anticamera di misure molto più drastiche di gestione della crisi.

Torneremo sul punto in seguito, commentando in modo appropriato anche i principi di attestazione, nel bene e nel male, ma sin da ora proviamo a chiarire le potenziali conseguenze.

Senza voler essere catastrofisti, in assenza di sufficiente track record giurisprudenziale sul punto, è il caso di chiedersi se un piano che non affronti questo aspetto possa considerarsi diligentemente eseguito, e soprattutto attestato, con la conseguenza di non costituire efficace baluardo contro le eventuali successive pretese del curatore, che esperisca l’azione revocatoria fallimentare. Non è così scontato che il controllo tipicamente revisionale sia sufficiente. Di sicuro una attestazione erogata senza porsi questo tipo di problemi è azzardata, basata su numeri che, per quanto diligentemente elaborati, rischiano di essere un castello costruito sulla sabbia.