4 Febbraio 2016

Ritenute subite su servizi di assistenza in uno Stato senza Convenzione

di Pietro Vitale
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Le ritenute (nel seguito WHT – witholding tax) subite all’estero su servizi di assistenza tecnica resi nello Stato estero, in linea di principio possono essere scomputate dall’Ires/Irpef quale credito per imposte estere (FTC – foreign tax credit) o alternativamente possono essere dedotte dalla base imponibile Ires/Irpef.

In premessa si ritiene dapprima ricordare che il FTC è disciplinato dall’art. 165 del DPR n. 917/1986 (nel seguito TUIR) che, per la parte che qui interessa, ne ammette lo scomputo a condizione che il reddito sia qualificabile come prodotto all’estero secondo criteri reciproci a quelli dell’art. 23 TUIR.

Tale condizione è stata anche definita come “lettura a specchio dell’art. 23” nel senso che poiché lo Stato Italiano non incamererebbe mai la ritenuta da un soggetto residente in Stati con in quali non esiste una convenzione contro le doppie imposizioni (DTT – double tax treaty) e che produce un reddito che non può essere considerato di fonte italiana ai sensi dell’art. 23 TUIR, allo stesso modo lo Stato italiano non può concedere un FTC ad un italiano che produca la medesima tipologia reddituale nello Stato estero in cui subisce la ritenuta. E’ come se lo Stato Italiano ci dicesse “poiché non incasso la ritenuta dai soggetti esteri, allo stesso modo non posso concedere agli italiani il credito”, una sorta di legge del taglione.

Questo è quanto si verifica in ipotesi di servizi prestati in Italia da soggetti residenti in uno Sato senza DTT con l’Italia (è il caso ad esempio del Cile, Perù, Colombia, Zimbabwe) e che non hanno in Italia una stabile organizzazione (ex art. 162 TUIR). Ai sensi dell’art. 23, TUIR, infatti, tali soggetti (in tale sede ci si riferisce ad entità estere che producono un reddito di impresa, tipicamente alle società) produrrebbero un reddito di fonte italiana da tassare in Italia soltanto nel caso in cui in Italia sia configurabile una stabile organizzazione (nel seguito PE – permanent establishment”). Pertanto, il reddito che un non residente genererebbe in Italia attraverso una pura assistenza tecnica di durata inferiore a tre mesi (condizione richiesta dall’art. 162 TUIR, affinchè si realizzi una PE in Italia da cantiere) non è da tassare od ancora meglio non costituisce reddito di fonte italiana; sarà tassato, se del caso, nello Stato estero secondo le proprie regole.

A contrariis (ed è qui la lettura a specchio) laddove una impresa italiana generasse il medesimo reddito (assistenza tecnica) in uno Stato senza DTT con l’Italia, le eventuali ritenute ivi subite non potranno essere portate a scomputo dall’Ires/Irpef italiana. In tale caso, l’assenza di un DTT con lo Stato estero, rende inerme l’impresa italiana di fronte alla pretesa del cliente estero di applicare la WHT; non resta che subire la ritenuta senza che essa sia recuperabile secondo il meccanismo dell’art. 165 del TUIR.

E’ proprio questa assenza di difesa, che rende giustificabile dal punto di vista economico la deducibilità della WHT dalla base imponibile IRES/Irpef (ai fini IRAP resta comunque un costo indeducibile in quanto da contabilizzare tra le imposte sul reddito). Solo con riferimento a tale caso (assenza di DTT) la circolare 9/E/2015, al fine di evitare la doppia imposizione che ne deriverebbe, ammetta la deduzione delle imposte estere quale costo inerente all’attività di impresa.

Ma non è finita ancora! Il quantum deducibile, deve comunque essere confrontato con la misura della ritenuta vigente in quello Stato senza DTT con l’Italia in quanto eventuali ritenute applicate in misura superiore non sono deducibili per l’eccedenza rispetto alla misura ordinariamente vigente in quello Stato.

Anche al fine di evitare di subire ritenute indebite, è opportuno, ma anche richiesto dalla circolare 9/E/2015, acquisire documentazione ufficiale comprovante il loro versamento allo Stato estero; vi potrebbe essere, infatti, il caso di “furto” da parte del cliente di una somma di denaro spacciata come ritenuta ma non versata allo Stato estero. In tale caso la parte di ritenuta oggetto di “furto” non dovrebbe essere un costo deducibile in quanto con l’ordinaria diligenza sarebbe stata di facile scoperta.

Infine, si evidenzia, come la circolare n. 9/E/2015 al paragrafo 3.3 ha affermato che nell’ipotesi in cui la definitività delle imposte estere non si verifichi prima della presentazione del modello Unico, “il credito dovrà essere richiesto nella prima dichiarazione utile”. Sul punto si ritiene che il credito possa essere utilizzato anche in una dichiarazione successiva alla prima dichiarazione utile. Infatti, l’iter di raccolta dei documenti attestanti la bontà del FTC è a volte lungo e complicato (essendo diversi gli attori preposti al recupero di tale documentazione). La non indicazione del FTC nella prima dichiarazione utile non deve, tuttavia, eludere il carry forward dell’eccedenza di imposta estera (riporto in avanti negli otto esercizi successivi alla prima dichiarazione utile), ciò al fine di non dilatare il periodo massimo di riporto in avanti disposto dall’art. 165, comma 6, TUIR.

Si ricorda che l’elenco degli Stati (e relativo DTT) con cui l’Italia ha concluso convenzioni contro le doppie imposizioni in materia di redditi può essere reperito al seguente indirizzo:

http://www.finanze.it/opencms/it/fiscalita-comunitaria-e-internazionale/convenzioni-e-accordi/convenzioni-per-evitare-le-doppie-imposizioni/