16 Giugno 2015

Fondo ripristino e bonifica ambientale: nessuna rilevanza fiscale

di Giovanni Valcarenghi
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Ci siamo più volte occupati, su EC news, della tematica dello scorporo delle aree a livello contabile (imposta della nuova versione del documento OIC 16) e delle conseguenze fiscali che ne possono derivare.

A tale riguardo, pur se i bilanci potrebbero essere già stati depositati, sono ancora aperte le valutazioni per la dichiarazione dei redditi; vale allora la pena di completare le riflessioni già fatte aggiungendo il pensiero di Assonime, reso noto con la consueta circolare annuale a commento del modello UNICO (n. 21 del 10 giugno scorso).

Per meglio comprendere la vicenda, va rammentato che, per dare attuazione “retroattiva” alla impossibilità di ammortamento delle aree, oltre alla separazione contabile tra valore dell’edificio e valore dell’area, appare necessario “ripulire” il fondo ammortamento delle quote che furono alimentate per l’ammortamento dell’area stessa.

Le possibili tecniche contabili (avallate dalla dottrina dal CNDCEC) sono le seguenti:

  • eliminazione del fondo ammortamento eccedente mediante movimentazione del conto economico ed, in particolare, di una sopravvenienza attiva;
  • eliminazione del fondo ammortamento eccedente in contropartita ad un fondo di ripristino e bonifica (senza dunque interessare il conto economico).

L’Associazione si sofferma proprio sulle ricadute fiscali che potrebbero interessare la seconda soluzione proposta, evidenziando le due tesi che si sono contrapposte nelle ultime settimane:

  • secondo una prima tesi, la cancellazione degli ammortamenti operati in relazione alla quota terreno (ovviamente per l’importo dedotto sino al 2005), determinerebbe una loro sostituzione con un accantonamento ad un fondo (ripristino e bonifica) fiscalmente irrilevante. In quest’ottica, la cancellazione degli ammortamenti (fiscalmente rilevanti, quindi dedotti) si dovrebbe considerare alla stregua di una sopravvenienza attiva da assoggettare a tassazione per esser venuta meno la previa imputazione del relativo onere a conto economico, come richiede l’art. 109, comma 4, del TUIR. Ne conseguirebbe, naturalmente, il riconoscimento di un corrispondente maggior valore fiscale del terreno stesso (che sarebbe riconosciuto nel comparto tributario per un valore esattamente identico a quello contabile), altrimenti si genererebbe un evidente fenomeno di doppia imposizione;
  • secondo una tesi alternativa (proposta da Assonime), si potrebbe sostenere che la cancellazione del fondo ammortamento (con conseguente ripristino del valore originario del bene) realizzi sostanzialmente una rivalutazione contabile del bene stesso che, come tale, non dovrebbe comunque avere rilevanza ai fini fiscali ai sensi dell’art. 110, comma 1, lett. c) del TUIR.

Nella circolare si elencano le argomentazioni che ritengono preferibile questa ultima soluzione:

  1. i regimi di rivalutazione monetaria succedutisi più volte in questi anni, pongono chiaramente in evidenza che la rivalutazione dei beni suscettibili di ammortamento può essere indifferentemente realizzata agendo tanto sul loro costo storico, quanto sugli ammortamenti stanziati a rettifica dello stesso;
  2. aderendo alla prima soluzione si sovvertirebbe in modo poco equo una situazione ormai “cristallizzata” ai fini fiscali (la deduzione degli ammortamenti), che è stata delineata dal legislatore a prescindere dai sopravvenuti mutamenti dei principi contabili. Si richiama, al riguardo, il documento del CNDCEC a commento del nuovo OIC 16, ove si sostiene che l’ipotesi di riprendere a tassazione gli ammortamenti pregressi dei terreni si risolverebbe in una tassazione, ora per allora, degli ammortamenti già (legittimamente) dedotti ante 2006.  Un’ipotesi del genere, tuttavia, è già stata esclusa dallo stesso legislatore in precedenti occasioni, in quanto, al momento dell’introduzione della disciplina relativa alla indeducibilità degli ammortamenti per la parte relativa alle aree occupate dai fabbricati strumentali, non ha previsto alcun recupero a tassazione delle quote di ammortamento già dedotte in precedenza (e questa appare una argomentazione davvero logica e forte);
  3. ci si trova sostanzialmente di fronte ad una “permutazione” patrimoniale tra ammortamenti e accantonamenti per fondi ripristino che non denota di per sé un effettivo incremento di ricchezza per l’impresa. L’incremento in questione potrà prodursi semmai solo se e nella misura in cui i futuri oneri di ripristino non siano effettivamente sostenuti.

Se si ritengono condivisibili le argomentazioni proposte da Assonime, la permutazione tra fondo ammortamento e fondo ripristino non avrebbe alcuna immediata conseguenza, salvo ovviamente aggiungere che:

  • il valore fiscalmente riconosciuto dell’area resterebbe quello già decrementato delle quote di ammortamento fiscalmente dedotte sino al 2005, anche se il fondo non trova più diretta rappresentazione nel bilancio;
  • il fondo ripristino costituito assumerà rilevanza fiscale nell’esercizio in cui, tale fondo, non venga in tutto o in parte più utilizzato per gli oneri di ripristino. E, forse, su tale ultimo aspetto si dovrebbe poi interrogarsi sulla eventuale influenza di tale accadimento sul costo fiscalmente riconosciuto del terreno.

Certezze, ovviamente, non ve ne sono, tant’è che l’Associazione sollecita una presa di posizione da parte dell’Agenzia. Anche se la stessa arrivasse a breve, comunque, si teme che i giochi siano ormai fatti e pochi andranno a ricostruire le necessarie modifiche per adeguarsi alle indicazioni delle Entrate.