Forfettari e società partecipate: codice Ateco irrilevante
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariLa verifica della riconducibilità dell’attività svolta dalla società partecipata a quella esercita dal contribuente forfettario deve essere eseguita in base al dato effettivo e non al codice Ateco relativo alle attività stesse.
È quanto emerso da una risposta ad interrogazione parlamentare in cui il MEF ha fornito due nuovi chiarimenti al fine di comprendere meglio la portata delle due novità, introdotte dalla Legge di Bilancio 2019, secondo cui costituiscono cause di preclusione all’adozione del regime forfettario:
– le partecipazioni di controllo in società a responsabilità limitata che svolgono attività direttamente o indirettamente riconducibili a quella esercita dal contribuente forfettario (articolo 1, comma 57, lett. d), L. 190/2014, come modificato dall’articolo 1, comma 9, lett. c), L. 145/2018);
– l’esercizio prevalente dell’attività nei confronti del datore di lavoro o dell’ex datore di lavoro nei due anni precedenti, ovvero nei confronti di soggetti a loro direttamente o indirettamente riconducibili (nuova lett. d-bis), dell’articolo 1, comma 57, L. 190/2014, come modificato dalla L. 145/2018).
In relazione al primo aspetto, l’interrogazione parlamentare riguarda un soggetto che esercita l’attività contraddistinta dal codice Ateco 749099 (altre attività professionali) e che nel contempo detiene una partecipazione di controllo (pari al 90%) in una società immobiliare esercente l’attività di intermediazione nella mediazione immobiliare (codice Ateco 683100).
Secondo il MEF, la ratio della causa di preclusione in esame è quella di “evitare artificiose frammentazioni delle attività d’impresa o di lavoro autonomo svolte al solo scopo di beneficiare di una tassazione più favorevole“.
Pertanto, si deve aver riguardo all’attività effettivamente svolta e non ai codici Ateco utilizzati per lo svolgimento delle due attività, con la conseguenza che pur in presenza di due codici Ateco distinti il contribuente potrebbe esercitare di fatto un’attività collegata a quella effettivamente svolta dalla società a responsabilità limitata di cui detiene il controllo.
L’analisi deve avvenire quindi caso per caso, e non è stata fornita risposta in merito alla situazione prospettata poiché non è stata specificata l’attività svolta dal soggetto con la propria partita Iva individuale.
Ad esempio, laddove l’attività svolta sia quella di consulente nel campo immobiliare, è del tutto evidente che la partecipazione di controllo nella società di intermediazione immobiliare è riconducibile a quella svolta in forma individuale, con conseguente preclusione all’accesso al regime forfettario.
Il secondo chiarimento fornito riguarda l’altra causa di preclusione riferita alla prevalenza dell’attività svolta dal contribuente forfettario nei confronti del datore di lavoro o dell’ex datore di lavoro nei due anni precedenti, e si riferisce ad una nuova partita Iva aperta a seguito dell’iscrizione ad un ordine o collegio professionale.
Secondo quanto si legge nella risposta, la ratio della nuova causa di preclusione è di evitare l’avvio di iniziative professionali (o d’impresa) al solo scopo di beneficiare della tassazione di favore, trasformando l’attività di lavoro dipendente o a questo assimilata, in attività di lavoro autonomo.
In assenza di tale obiettivo, precisa il MEF, non vi sono ostacoli per l’accesso al regime agevolato.
La risposta lascia intendere che, laddove il professionista abilitato sia stato in precedenza dipendente dello Studio cui ora svolge l’attività con partita Iva, il regime forfettario è precluso, mentre non dovrebbero esservi problemi qualora il precedente rapporto di tirocinio sia stato svolto in forma diversa.
Sul punto, tuttavia, la risposta lascia una sorta di “porta” aperta, poiché si fa riferimento anche a precedenti attività svolte in forma assimilata a quella di lavoro dipendente, con conseguente possibile allargamento della nozione di datore di lavoro.
La questione è delicata e merita ulteriori chiarimenti, poiché se così fosse rientrerebbero nella causa preclusiva anche tutte le forme di collaborazione che ai fini fiscali rientrano tra i redditi assimilati al lavoro dipendente, ma che ai fini giuridici non lo sono.