Forma giuridica, dimensione e redditività, un’analisi sugli studi di Commercialisti
di Giangiacomo Buzzoni di MpO & PartnersÈ stato da poco reso disponibile il Rapporto 2021 sull’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Nel Rapporto, oltre all’usuale aggiornamento sulle statistiche dell’Albo, vi è un interessante passaggio sulla necessità di aggregarsi, necessità che è posta direttamente in relazione con la redditività degli studi:
“Come è noto, il tasso di aggregazione tra i Commercialisti è ancora troppo basso, nonostante i dati delle Casse di previdenza mostrino una redditività nettamente superiore dei professionisti che operano in forma associata o societaria.”.
Questo concetto è stato integrato con alcuni dati della Cassa nel documento “Il processo di aggregazione e la digitalizzazione negli studi professionali”, prodotto congiuntamente da CNDCEC e Fondazione Nazionale Commercialisti, di cui si riporta l’estratto:
“Infatti, nonostante le migliori performance economiche dello studio associato e della STP, solo un commercialista su 5 è associato. Ciò è avvalorato dai dati forniti dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti, ad esempio, chi esercita la professione in forma associata o societaria (totale o parziale) ha un reddito medio pari a ben 125 mila euro (volume d’affari 245 mila euro) contro i 49 mila euro di chi esercita esclusivamente in forma individuale (volume d’affari 80 mila euro).”
Sembrerebbe quindi che la forma giuridica abbia effetto sul reddito del professionista. Ovviamente non può però essere solo la forma giuridica a determinare il reddito di uno studio, vi deve essere un’altra motivazione se i Commercialisti “associati” hanno un maggior reddito di quelli “individuali”. Una motivazione, più “economica”, è suggerita da un successivo passaggio dello stesso documento:
“La scarsa propensione all’aggregazione si riflette, naturalmente, nella ridotta dimensione degli studi. Sebbene non si possano escludere studi individuali grandi, è evidente come la dimensione dipenda fortemente dal grado di aggregazione. Gli studi con più di 5 addetti, infatti, sono il 73,4% tra quelli associati e il 14,8% tra quelli individuali.”.
Quindi, si potrebbe avanzare nel ragionamento ed affermare che è in realtà la dimensione di uno studio, e non la sua forma giuridica, a determinarne il reddito. Essendo poi gli studi aggregati tendenzialmente più grandi di quelli individuali, si spiegherebbe perché abbiano un maggior reddito.
In questo caso, però, i due documenti non ci forniscono dati in merito.
Da quanto sopra emergono quindi 2 interessanti quesiti:
- uno studio ha un maggior reddito solo perché esercitato in forma associata/societaria oppure perché è di dimensioni maggiori? E quali sono le “giuste” dimensioni per uno studio?
- i Commercialisti “individuali” hanno davvero una redditività (non un reddito) superiore a quella dei Commercialisti “associati”, alla faccia di economie di scala, maggiori investimenti in digitalizzazione, organizzazione ecc.? Perché dai dati di cui sopra avremmo 61% per gli studi individuali (49 mila/80 mila), contro 51% per quelli associati/aggregati (125 mila/245 mila).
In questo articolo si cercherà di rispondere ai due quesiti, integrando i dati con un’analisi empirica parallela, sviluppata su un campione di studi fornito da MpO&Partners, società specializzata nel M&A di studi professionali.
Il campione è costituito da 140 studi di Commercialisti e Consulenti del Lavoro, impegnati in operazioni di aggregazione/M&A. Questo campione, seppur numericamente molto più ridotto di quello alla base dei documenti di cui sopra, ha 3 vantaggi:
- è possibile osservare tutti i dati, e non ragionare sulla base di valori medi. In particolare, la media aritmetica è poco robusta come indicatore statistico, in quanto risente pesantemente dei valori estremi (ad es. la media di 1, 2, 3, 4, 5 e 30, è pari a 7,5, che è però superiore a ben 5 osservazioni sulle 6 osservate). Questo potrebbe avere un notevole impatto nel fenomeno che stiamo osservando, perché il reddito non oscilla tra “meno infinito” e “più infinito”, ma tendenzialmente tra valori prossimi allo zero e valori molto elevati. Quindi sarebbero sufficienti pochi studi di grandi dimensioni per rendere i numeri della Cassa sovrastimanti i redditi del professionista medio (come nell’esempio numerico).
- ci sono meno studi ma molte più informazioni per ciascun studio. Si è potuto, ad esempio, normalizzare i conti economici su cui calcolare reddito e redditività
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