Fornitura di indumenti ed attrezzi ai dipendenti
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariNella prassi aziendale molto spesso accade che l’azienda fornisca ai propri dipendenti degli indumenti, attrezzi o accessori di lavoro, necessari allo svolgimento delle mansioni lavorative nel rispetto di modalità dettagliate in appositi regolamenti aziendali, che il lavoratore è tenuto a rispettare.
In questi casi, la prassi raccomanda la predisposizione di un apposito regolamento – che dovrà essere accettato e condiviso dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro – teso ad individuare ed a qualificare le caratteristiche:
- soggettive (quali sono i dipendenti/le categorie di dipendenti ai quali vengono assegnati i capi di abbigliamento);
- oggettive (quantità e tipologia di capi di abbigliamenti, accessori, etc. concessi ai dipendenti/categorie di cui sopra);
- temporali (ogni quanto tempo vengono assegnati i capi di abbigliamento e in che contesto lavorativo i dipendenti sono tenuti ad indossarli: nelle riunioni, nelle filiali, nel corso di fiere, stage, etc.).
In tale circostanza, secondo quanto precisato da Assonime con la nota n.11/2009, è ragionevole ritenere che il costo sostenuto dal datore per la fornitura degli indumenti, vestiario, accessori, etc. costituisca un costo aziendale afferente la produzione del reddito di impresa, in quanto “strumentale” per lo svolgimento dell’attività in azienda da parte del lavoratore.
Dello stesso avviso anche l’Amministrazione finanziaria che, in ambito Irap, ha affermato che sono deducibili le spese sostenute dall’azienda per acquisire beni e servizi da destinare ai dipendenti per lo svolgimento dell’attività lavorativa, nella misura in cui costituiscano oneri funzionali all’attività di impresa e non assumano natura retributiva per il dipendente. Così, “a titolo esemplificativo, rientrano tra i costi deducibili quelli sostenuti per l’acquisto di tute e scarpe da lavoro” (circolare AdE 27/E/2009).
Esula, invece, dalla disciplina del “fringe benefit”, la pratica di assegnare – gratuitamente o a condizioni agevolate – al personale dipendente dei capi di vestiario o accessori, normalmente prodotti o commercializzati dall’azienda (generalmente operante nel settore dell’alta moda) con il solo intento di rafforzare il senso di appartenenza del lavoratore all’azienda, sia all’interno che all’esterno della stessa.
Al riguardo, è necessario precisare che se i beni vengono ceduti al lavoratore gratuitamente o ad un prezzo inferiore al “valore normale” si può configurare un “fringe benefit”, quantificabile come differenza tra quanto corrisposto dal dipendente per l’acquisto del bene ed il “valore normale” del medesimo (prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari) da assoggettare a tassazione ai sensi dell’articolo 51 Tuir, fermo restando il raffronto con il limite di euro 258,23.
Un particolare trattamento impositivo è previsto nel caso in cui l’azienda, anziché dotare direttamente di indumenti di lavoro i propri dipendenti, provveda a riconoscere loro una indennità monetaria al fine di coprire o integrare la spesa sostenuta dal lavoratore per dotarsi di attrezzature ed indumenti idonei allo svolgimento delle proprie mansioni; in tale ipotesi, la somma corrisposta dal datore concorre alla formazione della base imponibile del reddito di lavoro dipendente, in quanto riconducibile al rapporto di lavoro, ai sensi del più volte menzionato articolo 51 Tuir (circolare 326/E/1997).
Tale principio non opera, però, nel caso in cui il datore di lavoro rifonda al proprio dipendente quanto da quest’ultimo anticipato – e analiticamente documentato – per conto del datore (che avrebbe, ad esempio, dovuto provvedere direttamente all’acquisto di tutte, scarpe, etc.): tale ipotesi, infatti, non comporta, in capo al lavoratore, alcun rilievo sotto il profilo della tassazione.
Per la non imponibilità in capo al dipendente delle spese anticipate e rimborsate dal datore di lavoro si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità secondo cui “per stabilire se determinate somme corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore durante lo svolgimento del rapporto abbiano, in tutto o in parte, natura retributiva, non basta accertare che esse siano state versate nel contesto di un rapporto di lavoro, ma occorre anche verificare, con riguardo alla causale concreta, alla funzione ed ai requisiti dei versamenti, se le somme medesime integrino vere e proprie componenti retributive (in quanto tali tassabili) o costituiscano rimborso di spese effettivamente sostenute dal lavoratore (cioè anticipate per conto del datore di lavoro) e non soggette a tassazione” (Cassazione, n. 5859 del 26.05.1995).