Franchigia per i frontalieri a regime
di Nicola Fasano
La Legge di stabilità per il 2014 conferma la soglia di esenzione fino a 6.700 euro per i frontalieri, prevedendola non più come norma “a tempo”, come era stato fatto finora, ma a regime, a partire dal periodo di imposta 2014.
L’ultima proroga del regime agevolativo era stata dettata dalla Legge di stabilità per il 2013 (L. 228/2012) con riferimento all’anno 2013. Tale ultima disposizione, peraltro, aveva previsto che gli acconti Irpef dovuti per il 2013 e il 2014 andavano calcolati senza considerare la franchigia di 6.700 euro (si ricorda che fino al periodo di imposta 2012 era pari a 8.000 euro).
Non cambia nulla, ovviamente per i frontalieri italiani che risiedono in Italia e lavorano in Svizzera, muovendosi nella c.d. “fascia di confine”, i quali continuano a godere del particolare regime di favore previsto dall’Accordo del 3 ottobre 1974 stipulato fra i due Paesi con tassazione esclusiva in Svizzera (fattispecie che sarà oggetto di specifico approfondimento in un prossimo intervento).
E’ bene ricordare che, secondo la costante interpretazione dell’amministrazione finanziaria (circ. n. 1/E del 2001, par. 1.2.2 e circ. n. 2/E del 2003, par. 9) si considera “frontaliere” il lavoratore dipendente che ogni giorno oltrepassa la frontiera e si reca a lavorare dall’Italia all’estero, in zone di confine e Paesi limitrofi (come per esempio il Principato di Monaco). Tuttavia, manca una definizione normativa di frontaliere e ci sono Convenzioni contro le doppie imposizioni (per esempio quella con l’Austria) che si riferiscono ai dipendenti che “abitualmente” (e non ogni giorno) si recano oltrefrontiera. A ogni modo, nella definizione di frontaliere, quanto meno ai fini fiscali, rientra il solo lavoratore dipendente, restando quindi esclusi, per esempio, gli imprenditori e i lavoratori autonomi (compresi dunque i professionisti).
E’ chiaro che, in situazioni di questo tipo, la normativa interna deve essere coordinata con le previsioni delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate fra gli Stati. Ciò in quanto, in linea di principio, in base all’art. 15, par. 1 del Modello Ocse, recepito nelle convenzioni, il reddito di lavoro dipendente svolto all’estero, in prima battuta, salvo alcune eccezioni in genere non applicabili al caso dei frontalieri (dettate dal par. 2 dell’art. 15 del Modello Ocse) è tassato sia nel luogo ove è svolta l’attività, sia in quello di residenza del dipendente, salvo il riconoscimento del credito di imposta o dell’esenzione per evitare (o quanto meno mitigare) la doppia imposizione nello Stato di residenza del lavoratore.
In alcuni casi, però, regole particolari sono stabilite per i frontalieri. Così, per esempio, la Convenzione con l’Austria prevede che il lavoratore che abita in zone di frontiera (per esempio in Italia) e va a lavorare nell’altro Stato (ossia in Austria), sempre in zone di frontiera, varcando quest’ultima “abitualmente”, è tassato solo nello Stato di residenza (ossia in Italia). Il dipendente, pertanto, verrà tassato solo in Italia e, secondo l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, godrà della soglia di esenzione pari a 6.700 euro se “quotidianamente” oltrepassa il confine. Nessun requisito circa la “frequenza temporale” degli spostamenti, invece, è prevista nella Convenzione con la Francia, secondo cui i redditi derivanti dal lavoro dipendente di persone abitanti nella zona di frontiera di uno degli Stati (si supponga l’Italia) e che lavorano nella zona di frontiera dell’altro Stato (si supponga la Francia), sono imponibili soltanto nello Stato in cui dette persone sono residenti (ossia, nel nostro esempio l’Italia).
Nessuna norma ad hoc per i frontalieri è prevista nella Convenzione fra Italia e Slovenia.
Nella Convenzione fra Italia e San Marino, recentemente ratificata, il Protocollo prevede espressamente, anche per i frontalieri, la tassazione concorrente dei due Stati, salvo il riconoscimento di una franchigia da parte dell’Italia.
Con il Principato di Monaco, in assenza di Convenzione con l’Italia, si applicano le sole disposizioni interne.
A ogni modo, le Convenzioni con Francia e Austria per inquadrare la fattispecie del “frontaliere”, fanno riferimento alle zone di frontiera (sia per quello che riguarda il luogo di abitazione del lavoratore che per quanto concerne il posto di lavoro oltreconfine), ma non specificano mai alcuna distanza “massima” entro cui può dirsi soddisfatto tale requisito. Né tale aspetto è stato mai precisato da chiarimenti ufficiali da parte dell’Agenzia delle entrate. Tuttavia, è appena il caso di osservare come nel caso in cui il dipendente non si muova nell’ambito di zone di frontiera, la disciplina convenzionale più vantaggiosa prevista per i frontalieri non è applicabile e tornerebbe invece a operare la regola di carattere generale prevista per il lavoro dipendente in ambito transnazionale (tassazione concorrente sia nello Stato di residenza che in quello di svolgimento dell’attività e credito di imposta o esenzione nello Stato di residenza).
Sul versante interno l’interpretazione data dall’Agenzia delle entrate ai fini del riconoscimento della franchigia di 6.700 euro è abbastanza ampia, poiché come accennato, viene data importanza essenzialmente a due condizioni:
- che il lavoratore si rechi quotidianamente oltreconfine a lavorare;
- che il luogo di lavoro sia “in zona di frontiera” e Paesi limitrofi.
Non è invece richiesto (a differenza di quanto previsto, per esempio, dalle Convenzioni con Francia e Austria e, come vedremo, dall’Accordo con la Svizzera) che il lavoratore abiti in (e si muova da) zone di confine.