Fringe benefit autovetture: perché complicare le cose?
di Fabio LanduzziSi ricorderà che il comma 632 dell’articolo 1 L. 160/2019 (la Legge di Bilancio 2020) aveva modificato la lett. a) del comma 4 dell’articolo 51 Tuir, mettendo mano alla determinazione del compenso in natura (fringe benefit) del lavoratore dipendente in caso di assegnazione di un veicolo in uso promiscuo.
La norma, come noto, è stata novellata secondo una graduazione del fringe benefit volta, da una parte, ad incentivare l’assegnazione ai lavoratori di auto caratterizzate da un minore impatto ambientale (misurato secondo le emissioni di CO2) e, dall’altra, a penalizzare l’assegnazione in uso promiscuo di auto ritenute invece più impattanti, sempre in termini di emissioni di CO2.
La norma ha tuttavia lasciato sul campo non poche incertezze che, pure a distanza del tempo trascorso, permangono tuttora e non agevolano di certo le esigenze di certezza nel rapporto fra dipendente (che nel caso specifico è il soggetto d’imposta), datore di lavoro (che agisce, fra l’altro, come sostituto d’imposta) ed Erario.
Che la semplificazione fosse alla base della ricerca di un criterio convenzionale, di facile misurazione ed oggettivo, non è affatto una fantasia, visto che questa necessità risale addirittura ai tempi del D.Lgs. 314/1997 emanato in attuazione della L. 662/1996, recante la delega al Governo ad emanare uno o più Decreti Legislativi volti appunto a “armonizzare, razionalizzare e semplificare le disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e i relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro e a semplificare gli adempimenti dei contribuenti riguardanti la dichiarazione dei redditi”; il tutto, come espresso dal Parere della Commissione Parlamentare Consultiva in materia di riforma fiscale, proprio “in considerazione della difficoltà di determinare il valore normale di beni e servizi”.
Ebbene, uno dei temi aperti della novella legislativa riguarda il destino, in termini di quantificazione del fringe benefit, dei veicoli già immatricolati prima della data del 1° luglio 2020, ma assegnati in uso promiscuo al dipendente dal 1° luglio 2020.
Nell’apparente silenzio del Legislatore, l’Amministrazione, in occasione della risoluzione 46/E/2020 si è limitata a riportare una considerazione di carattere generale secondo cui, in queste circostanze, “il benefit dovrà essere fiscalmente valorizzato per la sola parte riferibile all’uso privato dell’autoveicolo (…), scorporando quindi dal suo valore normale, l’utilizzo nell’interesse del datore di lavoro”.
La questione è stata poi ripresa nel recente Telefisco 2021, dove in risposta ad un quesito l’Amministrazione ha affermato che nel caso di veicolo immatricolato entro il 30 giugno 2020 ed assegnato dal 1° luglio 2020, “dal valore del canone di leasing o del noleggio (ndr. e se il veicolo fosse di proprietà, perché non l’ammortamento?) pagato dal datore di lavoro debba essere scorporata l’indennità chilometrica determinata in base alle tariffe Aci moltiplicata per il numero di chilometri percorsi nell’interesse del datore di lavoro sia che lo spostamento sia all’interno del comune della sede di lavoro che all’esterno”.
Calandoci nel concreto, quindi, secondo questa indicazione, per ogni mese di liquidazione del cedolino del lavoratore dovrebbe essere misurata la percorrenza in termini di chilometri per uso lavorativo, la quale risulterà dalla relativa nota spese del dipendente, soggetta ad approvazione secondo le procedure aziendali; a parte il carico di lavoro amministrativo che ciò implica per l’impresa per liquidare di volta in volta un benefit variabile, il siffatto metodo introduce un evidente elemento di incertezza e di imprevedibilità della valorizzazione del benefit, circostanza questa che tutti sanno essere confliggente con l’opposta necessità di avere certezza del carico fiscale a cui è soggetto il lavoratore, e dello speculare costo aziendale che deve sostenere in ultima analisi l’impresa.
È allora legittimo domandarsi se questa impostazione sia davvero coerente con i principi della Legge delega succitata, e se questa sia davvero compatibile con lo spirito di semplificazione introdotto sin da lontano 1997; inoltre, vi è anche da chiedersi se non si rischi, in questo modo, di condurre a situazioni spiacevoli, se non anche discriminatorie, riguardo alla posizione di quei lavoratori dipendenti che potrebbero subire un carico fiscale maggiore rispetto a quello di loro colleghi, e per avere avuto in assegnazione in uso promiscuo la stessa tipologia di vettura, per farne il medesimo uso, ma semplicemente per via della sua data di immatricolazione (antecedente al 1° luglio 2020).
Nella norma in commento, in verità, non sembra esservi una assoluta preclusione ad applicare anche alla fattispecie qui trattata la valorizzazione convenzionale prevista dalla disposizione previgente e da quella transitoria. Perciò, nell’interesse di tutte le parti, in primis dell’Erario stesso (per la certezza del carico fiscale), del lavoratore (per la certezza della sua retribuzione netta) e dell’impresa datore di lavoro (per la certezza del costo aziendale e del corretto adempimento agli obblighi di sostituto d’imposta), anche al caso in oggetto parrebbe potersi offrire una risposta assai più semplice, senza andare alla ricerca di logaritmi complicati che, nel futuro, rischiano di non fare altro che alimentare un (per tutti) inutile contenzioso.
E la risposta più semplice è quella che si ispira alla legge delega del 1996: valorizzare il fringe benefit nella misura convenzionale già prevista dalla previgente formulazione della lett. a), del comma 4, dell’articolo 51, del Tuir (ovvero il 30% della percorrenza di 15 mila Km calcolato secondo le tabelle Aci).
Si parla molto di “semplificazione”, e allora perché non realizzarla?