Frode fiscale: nessuna responsabilità per l’acquirente in buona fede
di Marco BargagliNel corso di una verifica fiscale, ove vengano acquisiti una serie di elementi indiziari, la frode fiscale deve essere adeguatamente dimostrata e documentata dagli organi di controllo e dai verificatori, fornendo la prova dell’accordo fraudolentemente posto in essere tra interposto ed interponente, per ottenere gli indebiti benefici fiscali, nonché della consapevole partecipazione alla frode stessa dei diversi soggetti che, a vario titolo, risultano nella stessa coinvolti (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 6 “Il riscontro analitico – normativo sull’osservanza della disciplina IVA”, pag. 202 e ss.).
Detto ciò, sotto il profilo sanzionatorio, a livello amministrativo, la frode fiscale può comportare l’applicazione di specifiche sanzioni, tra cui:
- l’infedele presentazione della dichiarazione annuale Iva (articolo 5, comma 4 e 4-bis, D.Lgs. 471/1997);
- illegittima detrazione d’imposta (articolo 6, comma 6, D.Lgs. 471/1997);
- indebite compensazioni d’imposta effettuata negli anni successivi (articolo 13, comma 5, D.Lgs. 471/1997).
Di contro, l’ordinamento penale – tributario prevede ulteriori e più gravi sanzioni, attuate per arginare la frode fiscale, ossia:
- la reclusione da quattro a otto anni, nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi (ex articolo 2, D.Lgs. 74/2000). Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono comunque detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Infine, qualora l’ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore a 100.000 euro, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
- la reclusione da quattro a otto anni, nei confronti di chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (ex articolo 8, D.Lgs. 74/2000). L’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato. Infine, qualora l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per singolo periodo d’imposta, sia inferiore a 100.000 euro, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
- la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, nei confronti di chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione (ex articolo 17 D.Lgs. 241/1997), crediti inesistenti per un importo annuo superiore a 50.000 euro (ex articolo 10-quater, D.Lgs. 74/2000).
Nella generalità dei casi, le fatture per operazioni inesistenti vengono emesse da società all’uopo costituite (c.d. “società cartiere”), ossia quelle “imprese fantasma” costituite al solo scopo di evadere le imposte, interponendosi fittiziamente nelle transazioni economiche e commerciali, senza tuttavia ottemperare agli obblighi di natura fiscale prescritti dall’ordinamento giuridico.
In tale contesto, nell’ambito delle fatture per operazioni inesistenti, occorre distinguere:
- le fatture oggettivamente inesistenti, qualora il contenuto del documento fiscale formalizzi operazioni non realmente avvenute;
- le fatture soggettivamente inesistenti, quando le operazioni documentate sono intercorse tra soggetti diversi da quelli risultanti formalmente quali parti del rapporto (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume I – parte I – capitolo 1 “Evasione e frode fiscale”, pag. 10 e ss.).
Per arginare i più perniciosi fenomeni di frode fiscale, l’ordinamento giuridico domestico contiene particolari norme antielusive.
Infatti, qualora venga emessa una fattura per operazioni inesistenti, ivi compresi i casi in cui nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, ai sensi dell’articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972.
Sempre ai fini Iva, l’articolo 60-bis, D.P.R. 633/1972, prevede che:
- in caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente, relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta;
- l’obbligato solidale di cui al comma 2, può, tuttavia, documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che, comunque, non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta.
Ciò posto, sulla base di un ormai consolidato approccio ermeneutico espresso da parte della suprema Corte di cassazione, non potranno essere applicate sanzioni al cessionario che contabilizza una fattura per operazioni inesistenti, senza essere consapevole di prendere parte ad una frode fiscale.
Tale linea di pensiero, valorizza così la c.d. “buona fede dell’acquirente” il quale, inconsapevolmente, operando sulla base della diligenza media esigibile da parte dell’imprenditore mediamente accorto, ha acquistato beni o servizi da parte di un soggetto che evade le imposte nell’ambito di una frode fiscale.
Sotto tale profilo, interessanti principi di diritto in tema di dolo specifico e consapevolezza dell’acquirente, nell’ambito della frode fiscale, sono stati recentemente diramati dalla suprema Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 14102/2024 pubblicata lo scorso 21.5.2024.
Gli ermellini, sulla base di una consolidata linea di pensiero, hanno chiarito che «ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova della conoscenza o conoscibilità, secondo la massima diligenza esigibile da un accorto operatore professionale, dell’esistenza di una frode IVA consumata a monte della catena produttiva o distributiva, le cautele che si richiede che il cessionario sia tenuto ragionevolmente ad adottare, perché si escluda il suo coinvolgimento, anche solo per colpevole ignoranza, nella frode commessa a monte, non possono attingere a verifiche complesse e approfondite, analoghe a quelle che l’amministrazione finanziaria avrebbe i mezzi per effettuare».
In estrema sintesi, sulla base della consolidata giurisprudenza della suprema Corte di cassazione, ove si verta in tema di corretto esercizio della detrazione in relazione a fatture di acquisto emesse da società prive di organizzazione o da soggetti interposti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inserisca in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente.
Qualora l’Amministrazione finanziaria assolva al proprio onere della prova, grava poi sul contribuente fornire la pertinente prova contraria, dimostrando di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cassazione n. 37889/2022; Cassazione n. 22190/2022; Cassazione n. 40690/2021; Cassazione n. 22969/2021; Cassazione n. 22107/2021; Cassazione n. 20648/2021; Cassazione n. 19387/2021; Cassazione n. 25426/2020; Cassazione n. 15369/2020; Cassazione n. 5873/2019; Cassazione n. 27566/2018; Cassazione n. 21104/2018; Cassazione n. 9851/2018; Cassazione n. 9721/2018; Cassazione n. 21105/2017).