Fusioni intracomunitarie e profili di abuso del diritto
di Alessandra FabbriLa complessità delle fusioni transfrontaliere all’interno dell’Unione Europea riguarda innanzitutto il doppio piano normativo esistente, comunitario e domestico, alla luce del quale debbono essere interpretati gli effetti fiscali dipananti da tali operazioni che, inevitabilmente, risentono sia del fattore “residenza fiscale dei soggetti coinvolti” sia della eventuale presenza e localizzazione di stabili organizzazioni.
In merito si è espressa, sul finire del 2021, l’Agenzia delle entrate che, pubblicando due interessanti risposte ad altrettante istanze di interpello, la n. 873/2021 e la n. 892/2021, ha chiarito la propria posizione in merito all’implementazione di operazioni straordinarie atte a porre in essere politiche di riorganizzazione aziendale su base transnazionale.
Con il primo documento di prassi menzionato è stata esaminata la vicenda afferente un gruppo di imprese composto da Alfa (capogruppo), da Beta (subholding) – entrambe residenti nel medesimo Paese membro UE (Francia) – e da Gamma, società operativa di diritto italiano partecipata da Beta, che non risultava essere stabile organizzazione di alcuno degli altri due enti collettivi partecipanti al gruppo; nella mente degli ideatori dell’operazione vi era il desiderio di realizzare una fusione attraverso la quale la subholding sarebbe stata incorporata nella capogruppo e, a seguito di tale accordo, quest’ultima sarebbe divenuta titolare della partecipazione precedentemente detenuta da Beta nella società italiana.
L’Amministrazione finanziaria per motivare la propria posizione favorevole ha fatto riferimento sia al dettato normativo, richiamando il contenuto dell’articolo 172 Tuir in base al quale un’operazione come quella sopra illustrata è da considerarsi neutrale e, pertanto, i plusvalori latenti nella partecipazione in questione non sono in alcun modo incisi da tassazione, sia a documenti di prassi, ovvero alla risoluzione 470/E/2008, con la quale è stato chiarito che un’operazione si qualifica come fusione secondo la disciplina italiana e gode del regime di neutralità, qualora i soggetti coinvolti abbiano una forma giuridica omologa a quella prevista per le società di diritto italiano e, altresì, ove l’operazione, benché posta in essere tra due società di diritto straniero, produca effetti in Italia sulla posizione fiscale di almeno uno dei soggetti coinvolti.
Nel caso di specie gli Uffici non potevano certamente ritenere applicabile il regime di neutralità fiscale proprio della fattispecie disciplinata dall’articolo 178 Tuir, ovvero della fusione intracomunitaria, pur essendo, di fatto, in presenza di effetti a essa similari, ma non potevano nemmeno negare in toto l’estensione del trattamento impositivo agevolato, dato che l’operazione, benché avesse quali attori principali due società di diritto estero, produceva effetti in Italia sulla posizione fiscale di uno dei soggetti coinvolti: con l’incorporazione di Beta in Alfa, infatti, si andava a realizzare un trasferimento di partecipazione che, se realizzato al di fuori del regime di neutralità, sarebbe senza dubbio stato assoggettato a tassazione anche in Italia in virtù dell’articolo 8 del Protocollo alla Convenzione Italia-Francia.
A quanto sin qui illustrato è conseguito, pertanto, il “via libera” da parte dell’Agenzia delle entrate all’applicazione al caso di specie del regime di neutralità, implementandosi con la successione degli eventi posti in essere dai vari attori le condizioni previste dalla risoluzione 470/E/2008.
L’operazione di riorganizzazione portata all’attenzione dell’Agenzia delle entrate con l’interpello n. 892/2021, al contrario, pur presentando tratti comuni alla vicenda esaminata dalla risposta n. 873/2021, occupandosi di fusione intracomunitaria afferente a un gruppo societario, ha rivelato aspetti di complessità maggiori e ravvisato, a parere dell’Amministrazione finanziaria, profili di abusività.
Nello specifico, oggetto del quesito posto all’Agenzia era sempre un gruppo di società avente a capo la tedesca Alfa che controllava, da un lato, l’italiana Beta e, dall’altro, attraverso una partecipazione indiretta, la francese Gamma, avente S.O. in Italia; orbene, nelle intenzioni dei vertici del gruppo vi era, anzitutto, la cessione a Gamma delle partecipazioni detenute dalla capogruppo in Beta e, quindi, la successiva fusione intracomunitaria per incorporazione di Beta in Gamma, attuata in modo tale che in Italia permanesse il patrimonio di Beta, “assorbito” dalla stabile organizzazione della società francese.
Nonostante ai sensi della legislazione attualmente vigente in Italia la sopradescritta operazione goda del regime di neutralità, essendo la cessione della partecipazione imponibile nel Paese di residenza della capogruppo, come previsto dall’articolo 13 della Convenzione contro le doppie imposizioni sottoscritta tra Roma e Berlino, e avendo la fusione per incorporazione della società italiana nell’entità estera natura realizzativa, ai sensi dell’articolo 166, comma 1, Tuir, solamente in relazione ai beni che non confluiscono in una S.O. italiana della società straniera incorporante, a parere dell’Agenzia delle entrate l’operazione così strutturata era da considerare un caso rientrante nell’abuso del diritto, identificabile nel fatto che, in un periodo di tempo antecedente alla successione di fatti posti all’attenzione degli Uffici, Beta aveva esercitato attività operativa, cedendo, in seguito, il ramo aziendale alla S.O. italiana di Gamma e rimanendo proprietaria di un solo immobile strumentale, locato alla stessa stabile.
Ne discendeva, quindi, che la sequenza di operazioni, così come ideata dai vertici del gruppo societario, aveva quale fine ultimo, non tanto la “semplice” riorganizzazione interna aziendale quanto, piuttosto, l’elusione delle disposizioni proprie del dettato dell’articolo 86 Tuir in materia di imposizione delle plusvalenze derivanti da beni immobili.