Gli accertamenti a tavolino evitano i 60 giorni di attesa dal termine delle operazioni di controllo
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di recente della corretta applicazione dell’articolo 12, comma 7, della Legge 212/00 (Statuto del Contribuente), in forza del quale, come noto, tra la data di consegna del processo verbale di constatazione e l’emanazione dell’avviso di accertamento devono intercorrere 60 giorni, necessari per la valutazione critica dei rilievi contenuti nel PVC, termine che può essere derogato solo al ricorrere di comprovati motivi di urgenza che determinano l’emissione anticipata dell’avviso di accertamento.
Due sono le sentenze con cui la Suprema Corte si è espressa sul tema negli ultimi giorni:
- La n. 13099, depositata in data 10 giugno 2014, che conferma l’assunto dell’illegittimità dell’avviso di accertamento emanato prima del decorso dei 60 giorni;
- La 13588, depositata in data 13 giugno 2014, certamente più articolata e destinata a delimitare il campo di applicazione della disposizione.
Il punto di partenza è pur sempre rappresentato da quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza n. 18184 del 2013, che ha delineato il principio di diritto applicabile in relazione a tale disposizione: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.
In termini pratici:
- L’avviso di accertamento non può essere emanato prima del decorso dei 60 giorni, salvo che ricorrano motivi d’urgenza;
- Se è emanato in data antecedente, l’atto è di per sé illegittimo;
- I motivi d’urgenza che giustificano l’emissione anticipata non devono essere enunciati nell’atto ma devono essere provati dall’Ufficio accertatore.
La sentenza n. 13099 del 2014 conferma in toto l’assunto espresso dalla Suprema Corte, respingendo il ricorso dell’amministrazione finanziaria e sottolineando come sia necessario il rispetto del termine normativo, concretizzandosi altrimenti l’illegittimità dell’avviso di accertamento; tale termine, inoltre, può essere derogato solo al ricorrere di motivi d’urgenza che non devono soltanto essere enunciati nella parte motiva dell’atto, bensì adeguatamente provati dall’Ufficio procedente. In merito, è utile rammentare che secondo la medesima Corte di Cassazione l’avvicinarsi del termine di scadenza per l’azione di accertamento non legittima affatto il mancato rispetto del termine dei 60 giorni, essendo obbligo dell’Ufficio attivarsi tempestivamente per effettuare i controlli nel rispetto del dettato dell’articolo 12, comma 7, della Legge 212/00 (sentenze n. 2279 e n. 3142 del 2014). Di contro, sono conclamati i “motivi d’urgenza” in presenza di reiterate condotte penali tributarie del contribuente sottoposto ad accertamento (sentenza n. 2587 del 5 febbraio 2014).
Più interessante appare invece la sentenza n. 13588 del 13 giugno 2014, che ha affrontato il problema del “perimetro” di applicazione dell’articolo 12, comma 7, della Legge 212/00. In effetti, l’interrogativo che si pone (e che ha visto diverse prese di posizione della giurisprudenza di merito), è se le cautele previste dalla richiamata disposizione possano trovare, o meno, applicazione in riferimento a qualsiasi azione accertativa da parte dell’amministrazione finanziaria. Nel caso analizzato, la CTR aveva ritenuto applicabile la norma anche nelle ipotesi di controllo diverse da quelli effettuati presso i locali ove si esercita l’attività aziendale o professionale. La posizione della Suprema Corte è stata tranciante: la norma espressamente richiama i controlli effettuati presso i locali del contribuente destinati allo svolgimento dell’attività ed inoltre il termine di 60 giorni decorre dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni. Dunque solo in presenza di controlli effettuati presso i locali del contribuente scatta la particolare procedura prevista dal citato articolo 12, comma 7, della Legge 212/00, non essendovi invece la necessità di rispettare il termine di 60 giorni nelle altre ipotesi accertative. Queste in particolare le motivazioni addotte dai Supremi Giudici: “Né possono condividersi i dubbi di costituzionalità genericamente prospettati nella sentenza gravata con riferimento al diverso regime di tutela del contraddittorio procedimentale nel caso di accertamento effettuato mediante visita ispettiva in loco e accertamento effettuato mediante l’esame presso i locali dell’amministrazione finanziaria dei documenti o dei questionari dalla stessa acquisiti (c.d. a tavolino) …. la particolare garanzia del contraddittorio procedimentale costituita dall’imposizione di un termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo … è limitata alle ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche nei locali del contribuente perché solo in tali ipotesi si verifica un’invasione della sfera del contribuente…. Con l’accesso in loco, infatti, è l’amministrazione …. a ricercare gli elementi che reputa utili a verificare la sussistenza di attività non dichiarate e da ciò deriva una specifica esigenza …. di dare spazio al contraddittorio, al fine di correggere, adeguare e chiarire gli elementi in tal modo raccolti”.
In definitiva, a parere della Suprema Corte le ipotesi del controllo in loco non devono essere affatto confuse con quelle degli accertamenti “a tavolino”, rispetto ai quali non sussiste l’esigenza di imporre termini dilatori all’azione di accertamento, non esistendo una previsione normativa in tale direzione, né una previsione di carattere generale che imponga il contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale, principio peraltro non desumibile nemmeno dalla giurisprudenza Comunitaria, atteso che la medesima Corte di Giustizia, nella sentenza 22.10.13 C276/12, ha sostanzialmente affermato che l’amministrazione finanziaria, quando procede alla raccolta di informazioni, non è tenuta a confrontarsi con il contribuente sottoposto a controllo.