24 Giugno 2014

Gli accordi di “call-off stock” e di “consignment stock” nella disciplina Iva degli altri paesi UE: riflessi per le imprese italiane

di Marco Peirolo
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In sede contrattuale, le imprese che inviano beni all’estero devono fare particolare attenzione alla descrizione dell’operazione, in specie quando il passaggio della proprietà è differito al momento del prelievo della merce da parte del cliente.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, nella fattispecie esposta si applica la disciplina del “consignment stock” (R.M. 18 ottobre 1996, n. 235/E e risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 5 maggio 2005, n. 58). Con la conseguenza che la fattura viene emessa, in regime di non imponibilità IVA, al momento del prelievo o, al più tardi, alla scadenza del termine di un anno dall’invio dei beni in territorio estero.

È dato, tuttavia, osservare che, nell’ambito delle operazioni con controparti non residenti, è prassi distinguere tra due ipotesi contrattuali diverse, che sono:

  • il “call-off stock” e
  • il “consignment stock”.

Di regola:

  • il “call-off stock” ha come destinataria l’impresa industriale che preleverà i beni per utilizzarli nel proprio processo produttivo;
  • il “consignment stock” ha, invece, come destinataria l’impresa commerciale che preleverà i beni per rivenderli.

In certi Paesi, la distinzione tra le due figure contrattuali si basa però su altre considerazioni.

Nel caso, per esempio, del Regno Unito, il “call-off stock” presuppone che la merce sia messa a disposizione del cliente, mentre il “consignment stock” ricorre quando la merce resta nella disponibilità del fornitore (https://www.uktradeinfo.com/intrastat/intrastatservices/pages/informationsheets.aspx).

Due ulteriori verifiche che le imprese italiane devono compiere prima di inviare i beni all’estero riguardano:

  • la qualificazione ai fini IVA del trasferimento dei beni nel Paese di destinazione e
  • l’eventuale obbligo di identificazione ai fini IVA in tale Paese.

Come regola generale, l’invio della merce in altro Paese UE dà luogo ad un acquisto intracomunitario, con il conseguente obbligo, per l’impresa italiana, di aprire una posizione IVA locale. Esistono, pertanto, Paesi UE che richiedono l’apertura della posizione IVA (es. Danimarca, Estonia, Germania, Grecia, Malta, Portogallo, Spagna e Svezia).

In via di semplificazione, invece, altri Paesi UE, come il Regno Unito e la Francia, non esigono l’identificazione da parte del soggetto non residente.

Ipotizzando che la merce sia inviata, nell’ambito di un “call-off stock, in un Paese UE che richiede l’apertura della partita IVA (es. Germania) da parte del fornitore non residente, la procedura che l’impresa italiana deve applicare implica:

  • l’emissione della fattura non imponibile IVA ai sensi dell’art. 41, comma 2, lett. c), del D.L. n. 331/1993 nei confronti della posizione IVA tedesca. La fattura va emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello del trasferimento de beni e la base imponibile è determinata in funzione del prezzo di costo (art. 43, comma 4, del D.L. n. 331/1993);
  • l’annotazione della fattura, distintamente, nel registro delle fatture emesse entro il termine di emissione e con riferimento al mese di trasferimento dei beni in Germania;
  • la presentazione del modello INTRA 1-bis;
  • l’emissione della fattura di vendita, per mezzo della posizione IVA tedesca, per i beni prelevati dal cliente. In applicazione all’art. 219-bis della Direttiva n. 2006/112/CE, la fattura contiene l’addebito dell’IVA, in quanto l’obbligo di reverse charge, in Germania, non è stato generalizzato.