Gli avvocati in società producono reddito d’impresa
di Alessandro BonuzziCon la risoluzione 35/E/2018 l’Agenzia delle Entrate è tornata ad occuparsi delle società tra professionisti, affermando che l’esercizio della professione forense svolta in forma societaria costituisce attività d’impresa. Ciò in quanto rileva il fatto di operare in una veste giuridica societaria di natura commerciale piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale.
L’intervento di prassi ha origine da un interpello presentato al fine di dirimere la questione riguardante la natura del reddito prodotto dalle società tra avvocati costituite ai sensi della L. 247/2012. Il dubbio interpretativo nasceva dal fatto che:
- da un parte, con la risoluzione 118/E/2003, l’Agenzia in relazione alle società costituite ai sensi dell’articolo 16 D.Lgs. 96/2001, per l’esercizio in forma associata della professione di avvocato, ha asserito che producono reddito di lavoro autonomo;
- dall’altra, la stessa Agenzia, rispondendo ad una consulenza giuridica, ha sostenuto che il reddito prodotto dalle società tra professionisti, disciplinate dall’articolo 10 L. 183/2011 e dal successivo D.M. 34/2013, che possono essere costituite ricorrendo ai tipi societari delle società di persone, di capitali o cooperative, deve considerarsi reddito di impresa.
La disamina del Fisco parte dall’analisi dell’articolo 4-bis L. 247/2012, introdotto dall’articolo 1, comma 141, L. 124/2017, secondo cui la professione forense è consentita nella forma societaria delle società di persone, di capitali o cooperative iscritte in apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società, nel rispetto delle seguenti condizioni:
- i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni;
- la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati;
- i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale, i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori.
Ma ciò che rileva ai fini che qui interessano è l’osservare che le società tra avvocati di cui alla L. 247/2012 non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche regolate dal codice civile; ne consegue che sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto.
Proprio alla luce di tale assunto, non può che ritenersi che l’esercizio della professione forense svolta in una delle forme societarie commerciali costituisce attività d’impresa. Difatti, “sembra difficile valorizzare l’elemento oggettivo della professione forense esercitata a discapito dell’elemento soggettivo dello schermo societario” (nota del 19 dicembre 2017 n. 43619 del Dipartimento delle Finanze).
D’altra parte, la società tra avvocati di cui all’articolo 4-bis L. 247/2012 è ben altra cosa rispetto alla precedente società tra avvocati di cui al D.Lgs. 96/2001, atteso che tale decreto ha introdotto un modello societario assoggettato ad una autonoma disciplina, rinviando alle disposizioni che regolano le Snc ai soli fini civilistici per determinare le regole di funzionamento del modello organizzativo. Da qui deriva l’interpretazione fornita con la risoluzione 118/E/2003.
In conclusione, si deve ritenere che le nuove società tra avvocati costituite sotto forma di società di persone commerciali, di capitali o cooperative producono, ai fini fiscali, reddito d’impresa, che va determinato secondo le regole proprie del tipo societario prescelto; ciò ha sicuramente valenza ai fini Irpef/Ires, ma ha riflessi anche ai fini Irap.
Pertanto, ad esempio, una Spa costituita per l’esercizio dell’attività di avvocato deve adottare il regime fiscale previsto per le società di capitali e, dunque, deve assoggettare ad Ires il reddito prodotto e a Irap il valore della produzione calcolato secondo il metodo da bilancio.