Gli effetti dell’accoglimento del reclamo
di Luigi FerrajoliCome noto, il fallimento – e, ora, la “liquidazione giudiziale”, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) – può essere revocato per effetto dell’accoglimento del reclamo proposto dal debitore o da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della Corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni dall’emissione della sentenza.
Sia al comma 15 dell’articolo 18 L.F. sia all’articolo 53, comma 1, C.C.I.I. è espressamente previsto che, se il fallimento e la liquidazione giudiziale sono revocati, “restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura”.
È evidente che in tale categoria devono essere ricondotti gli atti non affetti da vizi, che continueranno a dispiegare la propria efficacia nonostante il provvedimento di revoca (si consideri, a titolo esemplificativo, il caso in cui il curatore abbia disposto dei pagamenti che, se eseguiti correttamente, non dovranno essere oggetto di restituzione alcuna).
In buona sostanza, dopo la revoca del fallimento:
- il fallito riacquista la piena amministrazione dei suoi beni e le sue capacità, compresa quella processuale;
- cessano gli effetti delle azioni revocatorie, con restituzione dei beni ai soggetti ai quali erano stati sottratti;
- i creditori possono nuovamente agire in via esecutiva contro il debitore.
Altri effetti riconducibili alla revoca della declaratoria di fallimento possono essere ravvisati nel disposto normativo di cui all’articolo 147 D.P.R. 115/2002 (Testo Unico in materia di Spese di Giustizia), in forza del quale il fallito può chiedere il risarcimento dei danni al creditore “per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa”, a patto che il fallito abbia avanzato tale richiesta nel reclamo ex articolo 18 L.F.
Sul punto, l’articolo 366 C.C.I.I., di recente introduzione, ha riformulato l’articolo 147 T.U. Spese di Giustizia (D.P.R. 115/2002) che, nella versione precedente, così recitava: “In caso di revoca della dichiarazione di fallimento, le spese della procedura fallimentare e il compenso al curatore sono a carico del creditore istante, se condannato ai danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa; sono a carico del fallito persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento”.
Nel nuovo testo del nominato articolo 147 è stato inserito che “La corte di appello, quando revoca la liquidazione giudiziale, accerta se l’apertura della procedura è imputabile al creditore o al debitore”, così attribuendo ai giudici del gravame il potere di verificare tale responsabilità.
Ebbene, a tale proposito si è recentemente pronunciata la Suprema Corte con l’ordinanza n. 32533/2022, ritenendo che la richiamata indagine nonché la conseguente declaratoria di revoca della sentenza di fallimento (oggi, “liquidazione giudiziale”) possa essere parimenti svolta dalla Corte di Cassazione nel momento in cui la medesima accoglie il ricorso avverso la sentenza del giudice del reclamo che abbia erroneamente confermato la sentenza di fallimento.
Ciò, naturalmente, a patto che non risultino necessari ulteriori accertamenti di fatto in conformità alla previsione di indispensabile completezza oggetto dell’articolo 384, comma 2, c.p.c..
Invero, nell’opposta ipotesi in cui risultino necessarie le predette verifiche aggiuntive, la Suprema Corte dovrà obbligatoriamente demandare al giudice del rinvio anche la possibile declaratoria di revoca del fallimento e l’individuazione del soggetto a cui sia imputabile la revocanda apertura della procedura.
Con la citata pronuncia in disamina è stato quindi statuito che la Corte di Cassazione, in sede di accoglimento del ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello che abbia rigettato il reclamo proposto contro la sentenza dichiarativa di fallimento, può direttamente revocare tale dichiarazione e così “provvedere a norma dell’articolo 147 T.U. Spese di giustizia, come novellato dall’articolo 366 CCII (per come già vigente anche per i giudizi introdotti ex articolo 18 L. Fall.), sull’imputabilità dell’apertura della procedura ai fini dell’addebito delle relative spese, sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, dovendo invece, per tale ipotesi, disporre la cassazione con rinvio al giudice di merito”.