Gli indicatori di fatto per l’individuazione del responsabile in solido per i debiti di un’associazione non riconosciuta
di Carmen MusuracaGuido MartinelliLa sentenza della Cassazione n. 12473 del 17 giugno scorso, che si inserisce nell’ormai consolidato filone giurisprudenziale che nega, in diretta attuazione dell’ art. 38 del Codice Civile l’automatica individuazione della responsabilità patrimoniale del presidente di associazioni non riconosciute per i debiti di vario genere, anche tributari, gravanti sull’ente, questa volta aggiunge all’enunciazione dei principi di carattere generale anche un minuzioso elenco di elementi di fatto che possono coadiuvare nell’identificazione di colui che di fatto “ ha agito in nome e per contro dell’ente”.
Il giudizio prendeva le mosse da una sentenza della CTR Veneto che, confermando la pronuncia della commissione di primo grado, aveva dichiarato illegittima la cartella esattoriale notificata in qualità di coobbligato in solido al presidente di un circolo culturale in relazione ad un accertamento operato nei confronti del sodalizio per il periodo in cui, da statuto, questi ricopriva la carica di presidente e rappresentante legale dell’ente.
Secondo la Commissione Regionale, chiarito che nel caso di specie trovava applicazione l’art. 38 del Codice Civile valevole anche per le obbligazioni di carattere tributario, dal pvc e dagli atti era emerso che il contribuente, pur formalmente legale rappresentante dell’associazione, non aveva mai assunto alcuna decisione relativa all’effettiva gestione del circolo nè aveva mai svolto attività di amministratore, essendosi limitato a fare da prestanome e, come da carica rivestita, alla mera sottoscrizione dei verbali di approvazione del rendiconto annuale o la firma della dichiarazione, elementi da soli non sufficienti a dimostrare l’esercizio di effettivo potere gestorio e amministrativo come invece richiesto dalla legge.
Impugnava la sentenza l’amministrazione finanziaria rilevando che erroneamente la Commissione Tributaria Regionale aveva tralasciato di considerare alcuni elementi di fatto, non contestati dal presidente, che erano sufficienti ad integrare piena prova in ordine alla responsabilità solidale del presidente che di fatto svolgeva un’attività ben diversa dal mero prestanome responsabile del bar.
Il contribuente intimato non depositava memorie difensive scritte.
La Suprema Corte interviene sulla questione rammentando innanzitutto la ormai stratificata giurisprudenza della Corte in merito al tema oggetto d’indagine che ha chiarito che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. La ratio di una simile previsione è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio delle persone che hanno operato per l’associazione, e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente. Ne consegue, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita.
Proprio in relazione alla necessaria prova che l’amministrazione deve essere in grado di fornire per poter invocare la solidarietà del presidente, se da un lato può non essere sufficiente la mera invocazione della carica rivestita, secondo la Cassazione ci sono tutta una serie di elementi che certamente rappresentano forti indicatori di concreto esercizio di potere gestorio nell’amministrazione di un’associazione che la CTR avrebbe dovuto considerare : “a) la sottoscrizione del rendiconto dell’associazione; b) la riscossione degli incassi delle serate; c) l’avere curato le utenze ricevendo le bollette, nonché l’affitto del locale attraverso il pagamento con proprio bonifico del relativo canone; d) il reperimento delle forniture del bar; e) la conduzione del bar che, statutariamente, rappresentava una delle attività dell’associazione f) la sottoscrizione della dichiarazione”.
Secondo la Corte questi elementi se a vario titolo riscontrabili all’interno degli atti accertativi sono da soli sufficienti a legittimare una responsabilità personale solidale ex art. 38 c.c. in quanto rappresentano chiari indici di esercizio di attività gestoria e devono essere considerati validi anche nell’ipotesi in cui non facciano riferimento al medesimo soggetto in capo al quale da statuto è riconducibile la rappresentanza legale dell’associazione priva del riconoscimento della personalità giuridica.
La sentenza impugnata che non aveva correttamente valutato gli indicatori di solidarietà posti in rilievo dall’Agenzia delle Entrate era, dunque meritevole di essere cassata con rinvio ad altra sezione della CTR per nuovo esame e liquidazione delle spese di lite.