Gruppi di impresa: opportunità, non pericolo
di Massimiliano TasiniIl fatto che le imprese si organizzino in Gruppi per razionalizzare, per realizzare economie di scala, per ampliare i propri confini, le proprie competenze, e via così, non necessita di commenti. Insomma, per agire “in modo economico”.
Durante le verifiche fiscali, l’Agenzia delle Entrate, tuttavia, applica il principio dell’economicità in maniera talvolta discutibile: insegnano i Maestri che non sia mai che qualcuno – incluso il Fisco – possa entrare nel merito delle scelte dell’imprenditore, salvo che esse siano così abnormi da risultare inverosimili.
Sull’argomento, merita di essere segnalata la sentenza della Cassazione n. 4615/2016, che si occupa di due problemi insorti in conseguenza di una verifica posta in essere proprio nei confronti di un Gruppo, segnatamente attinenti al distacco di personale ed alla corresponsione di interessi passivi.
Sul primo punto, la Corte richiama intanto la giurisprudenza in ambito giuslavoristico, segnalando che il distacco è consentito “soltanto a condizione che esso realizzi, per tutta la sua durata, uno specifico interesse imprenditoriale”; dopodichè, essa però rimarca la discrezionalità “ontologicamente connessa alle scelte organizzative imprenditoriali” nello scegliere la formula del distacco di personale, piuttosto che seguire l’alternativa di obbligarsi contrattualmente a fornire mediante impiego di proprio personale una prestazione di servizi dietro pagamento di un corrispettivo.
E qui viene il primo punto cruciale: l’eventuale violazione, sul punto, di norme vigenti non può dar luogo, di per sé, ad un fenomeno di abuso del diritto in materia tributaria (Cassazione n. 21953/2015), atteso che l’indeducibilità dei costi viene in evidenza in ragione della non inerenza degli stessi. Principio che peraltro viene completato da due fondamentali affermazioni, ovverosia: a) il riordino degli aspetti societari è espressione di insindacabili scelte imprenditoriali; b) “l’inserimento in un gruppo non annulla, ai fini fiscali, la soggettività del singolo contribuente” (Cassazione n. 10981/2009).
In sostanza, se abbiamo ben inteso, la Corte vuol dirci: caro Fisco, non guardare l’operazione in modo formalistico, ricercando ragioni discutibili per creare materia imponibile, ma guarda alla sostanza del problema; e, non dirmi che, siccome si tratta di un Gruppo, “il sospetto” giustifica l’accertamento.
Uno a zero per il contribuente.
L’altra ripresa a tassazione riguarda interessi passivi relativi ad un prestito infragruppo. La Corte cassa la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale, che ne aveva apoditticamente ammesso la deducibilità, in mancanza: a) di un vero e proprio contratto di finanziamento; b) di sottoscrizione di qualsivoglia patto; c) di data certa; d) di pattuizioni specifiche, soprattutto in riferimento al tasso di interesse. Qui invece è chiaro come le due società abbiano fatto prevalere la “logica di Gruppo”, evitando pattuizioni ritenute evidentemente superflue: ma, se siamo di fronte a due soggetti autonomi e distinti, al di là delle connessioni societarie, non possiamo poi attenderci “sconti”, ritenendo superflui accordi che sarebbero invece esistiti tra soggetti tra loro estranei.
Uno pari.
Le due statuizioni costituiscono lati opposti della stessa medaglia. Qualcuno potrà obiettare che “costa fatica” applicare questi principi anche nei Gruppi di impresa. Ma, come si dice dalle nostre parti, “meglio la faccia rossa prima che bianca dopo”.