Guida alla riforma dello sport – seconda parte
di Guido MartinelliNon vi è ombra di dubbio che, come era già accaduto con la legge sul professionismo sportivo (L. 91/1981, disciplina che sarà abrogata con l’entrata in vigore del D.Lgs. 36/2021) che era, sostanzialmente, una legge sul lavoro sportivo, così nei cinque decreti di riforma dello sport quello oggetto di maggiore attenzione e critica è proprio quello appena citato, che contiene la disciplina delle società e associazioni sportive dilettantistiche e professionistiche e del lavoro sportivo.
Per quanto riguarda lo sport professionistico la riforma recepisce sostanzialmente la disciplina previgente, pur introducendo qualche innovazione di non poco conto.
Intanto si parte, sia per il professionismo che per il dilettantismo da una unica nozione di sport (“qualsiasi forma di attività fisica fondata sul rispetto di regole”) e di lavoro sportivo (è lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico, il soggetto che svolge le mansioni rientranti sulla base dei regolamenti dei singoli enti affilianti tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva dietro corrispettivo “senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico”) a conferma della tesi del riavvicinamento dei due settori sotto il profilo normativo.
Da notare, quindi, che per il mondo professionistico si amplia la categoria dei soggetti nei confronti dei quali potrà trovare applicazione la nuova disciplina (si ricorda che la L. 91/1981 classifica come tali solo gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici) così come si modifica la definizione del lavoro degli atleti.
Al testo originario che considera tali i soggetti che “esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità” si sostituisce che per gli atleti si ha lavoro sportivo subordinato quando questo sia svolto “come attività principale, ovvero prevalente, e continuativa”.
L’attenzione all’esercizio in via principale della attività sportiva è principio presente in tutta la riforma.
Infatti, oltre che negli statuti delle società professionistiche (dove era presente anche nella L. 91/1981) è stata estesa anche al mondo del dilettantismo la previsione della lett. b del comma 1 dell’articolo 7, laddove introduce i criteri a cui debbono attenersi gli statuti delle realtà dilettantistiche, la quale espressamente riporta che l’oggetto sociale deve fare: “specifico riferimento all’esercizio in via stabile e principale dell’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”.
Le ulteriori novità collegate al professionismo sono l’introduzione dell’obbligo del deposito presso la Federazione di tutti i contratti sottoscritti tra lavoratore sportivo e società sportiva, “ivi compresi quelli che abbiano ad oggetto diritti di immagine o promopubblicitari.
L’approvazione del contratto di lavoro sportivo professionistico secondo le regole stabilite dalla Federazione sportiva nazionale o dalla disciplina sportiva associata “è condizione di efficacia del contratto”.
Una novità di particolare interesse per il professionismo è data dall’articolo 30 che prevede la possibilità di stipulare contratti di apprendistato a partire dai 15 anni e fino ai 23 anni compiuti.
L’articolo 38 del decreto prova a dare una nuova distinzione tra attività professionistica e dilettantistica, non più caratterizzata prevalentemente dal rapporto di lavoro degli atleti, come era stata fino ad ora.
Viene infatti introdotto il concetto di “area” del professionismo e “area” del dilettantismo. La prima vede operare società sportive che svolgono la propria attività con finalità lucrative e conseguono tale qualificazione dalla Federazione o dalla disciplina associata di appartenenza. Si evidenzia, quindi, che un’area professionistica non potrà essere prevista nell’ambito dell’attività degli enti di promozione sportiva.
Importante evidenziare il termine che è stato introdotto: il Coni dovrà entro otto mesi dalla entrata in vigore del decreto in esame stabilire i criteri discriminatori che le Federazioni dovranno adottare per distinguere le due attività.
Ove così non accadesse detti criteri potranno essere emanati, sentito il Coni, dalla Autorità di Governo delegata allo sport.
L’area del dilettantismo, invece, per la prima volta non viene definita solo per differenza. È tale, quindi, quella che comprende le associazioni e società costituite secondo quanto previsto dagli articoli 6 e 7 del decreto, oltre agli enti del terzo settore, “che svolgono attività sportiva in tutte le sue forme, con prevalente finalità altruistica, senza distinzioni tra attività agonistica, didattica, formativa, fisica o motoria, inserite o meno nei settori dilettantistici di Federazioni sportive nazionali o di discipline sportive associate o di enti di promozione sportiva”