I 5 indici di settore per l’individuazione dei segnali di crisi – II° parte
di Fabio LanduzziProseguiamo, in questa nota, nella disamina degli indici di settore – dopo avere già commentato i primi due in un precedente contributo – che sono stati identificati dal Cndcec, nel documento pubblicato il 20 ottobre 2019, all’esame del MiSe, come gli “indici” che “fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa”
Il terzo indice di settore è quello di “ritorno liquido dell’attivo” che viene definito come rapporto fra:
- al numeratore: il cash flow determinato come somma algebrica del risultato d’esercizio, dei costi e dei ricavi non monetari;
- al denominatore: il totale dell’attivo dello Stato patrimoniale.
Si tratta di un indice atto a misurare il rendimento delle attività dell’impresa e la loro capacità di ritornare flussi di cassa.
Nella configurazione indicata dal Cndcec, il cash flow è determinato con il metodo indiretto, tenendo conto, a partire dal risultato economico del periodo, di tutti i costi e i ricavi non monetari, ivi inclusi perciò gli accantonamenti e gli utilizzi dei fondi del passivo.
L’utilizzo di dati storici, poi, dovrebbe opportunamente condurre a sterilizzare dal cash flow l’impatto di eventuali componenti straordinarie e non ricorrenti; infatti, tale indice è rappresentativo nella misura in cui esprime la capacità dell’impresa di generare flussi di cassa dalla propria gestione ordinaria.
Quanto invece alla grandezza da porre al denominatore del rapporto (l’attivo complessivo dello Stato patrimoniale) potrebbe essere forse più espressivo assumere il valore medio del periodo, piuttosto che un dato puntuale estemporaneo.
Il quarto indice di settore è quello di “liquidità”, il quale è espresso come rapporto fra:
- al numeratore: l’attivo a breve termine, dato dalla somma dell’attivo circolante e dei ratei e risconti attivi;
- al denominatore: il passivo a breve termine, dato dalla somma dei debiti esigibili entro l’esercizio successivo, e dei ratei e risconti passivi.
Si tratta di un indice che misura l’equilibrio finanziario dell’impresa in un orizzonte di breve termine, in quanto vuole esprimere il grado di copertura delle passività a breve con attività a breve. Di norma, tale indice dovrebbe essere superiore allo zero.
Un altro indicatore, non contenuto nella lista del Cndcec, ma spesso utilizzato nella prassi aziendalistica, è il c.d. acid ratio (o indice di liquidità immediata) che misura il rapporto fra:
- attivo corrente meno rimanenze finali; e,
- passivo corrente.
È evidente che valori molto bassi di tale indicatore potrebbero manifestare un sintomo di stress finanziario dell’impresa, anche se la lettura di questo indicatore deve essere compiuta attentamente di caso in caso, avendo riguardo anche alle caratteristiche della società e dell’attività svolta.
Il quinto e ultimo indice di settore è quello di “indebitamento previdenziale e tributario” ed è espresso dal rapporto fra:
- al numeratore: i debiti tributari, i debiti verso istituti previdenziali e assistenziali, sia entro che oltre l’esercizio;
- al denominatore: il totale dell’attivo dello Stato patrimoniale.
Si tratta evidentemente di un indicatore particolarmente vicino ai più volte citati sintomi dovuti ai “reiterati e significativi” ritardi nei pagamenti verso i soggetti pubblici istituzionali.
Infine, va sottolineato che il Cndcec ha ribadito che i 5 indici di settore devono essere utilizzati contemporaneamente poiché un loro impiego individuale potrebbe fornire solo una visione parziale di sintomi di crisi dell’impresa.
Per questa ragione viene richiesto il superamento di tutti i 5 indici di settore per l’attivazione delle procedure previste dal Codice