I certificati medici per le attività sportive non agonistiche
di Guido MartinelliPreannunciata da due circolari del Ministero della Salute del 16.06.2015 e 28.10.2015, lo scorso 10 giugno il CONI ha emanato una propria circolare che definisce, in accordo con i precedenti ministeriali, i confini dell’attività sportiva non agonistica all’interno dell’ordinamento sportivo ai fini degli obblighi sulla tutela sanitaria delle attività sportive.
Si chiarisce, in premessa, che nulla cambia per le attività a carattere agonistico (ai sensi del D.M. 18/02/1982). Queste rimangono soggette alla certificazione sanitaria che preveda l’idoneità specifica alla pratica di una determinata disciplina sportiva.
In riferimento, invece, alla pratica non agonistica (si ricorda che la qualificazione come agonistica o meno dell’attività promossa compete alla Federazione o all’Ente di promozione sportiva di riferimento) il CONI ha effettuato una distinzione tra 3 tipologie di tesseramento. Va ricordato, in partenza, che stiamo esaminando un atto amministrativo che deroga provvedimenti approvati con decreti ministeriali e che, pertanto, sotto questo profilo presenta degli aspetti di dubbia efficacia.
Secondo le indicazioni del massimo ente sportivo italiano, le Federazioni e gli Enti di promozione dovranno provvedere a uniformare la loro disciplina sul tesseramento secondo i seguenti principi:
- per i tesserati che svolgono attività sportive regolamentate: vige l’obbligo del certificato di idoneità non agonistico (come definito ed individuato da ultimo con le linee guida del Ministero della Salute 08/08/2014) per tutti i tesserati in Italia che svolgono attività organizzate dal CONI o da soggetti da questo riconosciuti (Federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva) ritenute a carattere non agonistico fatta eccezione per quanto previsto dal seguente punto b);
- per i tesserati che svolgono attività sportive che non comportano impegno fisico: non sussiste obbligo di certificazione (ma la circolare raccomanda comunque un controllo medico) per tutti i tesserati in Italia con la qualifica di non agonisti che svolgono attività organizzate dal CONI o da soggetti da questo riconosciuti caratterizzate dall’assenza o dal ridotto impegno cardiovascolare. Vengono elencati una serie di sport (elenco ampliato rispetto a quanto indicato dal Decreto Balduzzi in materia di defibrillatori). Tale elenco non è comunque da intendersi a titolo esaustivo perché la circolare prevede che non vige obbligo di certificazione per tutte quelle ulteriori attività “il cui impegno fisico sia minimo”. I dubbi che nascono da questo punto sono tre. Il primo se questa elencazione possa individuare anche, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 5 comma 3 del D.M. 24 aprile 2013, l’area delle società sportive non tenute agli obblighi di detenzione dei defibrillatori semiautomatici e della formazione degli addetti relativi in quanto attività a ridotto impegno cardiocircolatorio. Il secondo su quali siano i parametri sulla base dei quali poter far rientrare “le altre attività facenti capo alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva il cui impegno fisico sia evidentemente minimo”, che verrebbero, per l’attività non agonistica, comunque esentati dal certificato. Il terzo è di carattere più generale e coinvolge la disposizione di cui all’articolo 2050 del codice civile. La norma disciplina la responsabilità per le “attività pericolose” (si ricorda che per la giurisprudenza, ad esempio, costituiscono attività pericolose quelle del tiro, qui esentate dal certificato – vedi tra tutte Cassazione sentenze 28.09.1964 n. 2242 e 30.11.1977 n. 5222), per le quali chi cagiona un danno ad altri “è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”. Ma siamo sicuri non produca comunque una responsabilità del gestore della linea di tiro la mancata chiesta del certificato sulla base di un documento di natura amministrativa?
Infine, occorre considerare la posizione dei tesserati che non svolgono alcuna attività sportiva (non praticanti). Rientrano in tale tipologia di tesseramento tutti i tesserati dichiarati “non praticanti” da FSN, DSA ed EPS. Tale specifica qualifica dovrà risultare già all’atto del tesseramento con inserimento in un’apposita categoria all’uopo istituita.
Questa è la categoria in assoluto più oscura. In via preliminare si pone una domanda: il tesserato “che non svolge alcuna attività sportiva” per quale motivo dovrebbe tesserarsi? Le Federazioni dovranno prevedere tesseramenti differenziati al fine di evitare che i non praticanti poi, alla fine “pratichino” a scapito della Federazione stessa? Se l’attività in esame è quella che, fino ad oggi, abbiamo definito come “ludico – motoria” quale diventa il confine tra la stessa e quella non agonistica per la quale sarebbe necessario comunque la certificazione?
Credo che il lavoro per le Federazioni (e le conseguenti responsabilità), in relazione alle conseguenti modifiche alle carte federali, non sia né facile né semplice.
Consentitemi una riflessione conclusiva. La disciplina originale sui certificati medici era in vigore dai primi anni 80. Per trent’anni purtroppo non ha risparmiato decessi ma, forse, ne ha anche evitato qualcuno. Siamo proprio sicuri che valeva la pena fare questa rivoluzione?