I conferimenti infragruppo abbattono l’Ace
di Alessandro BonuzziNel momento in cui si ragiona sulla determinazione dell’Ace – il c.d. aiuto alla crescita economica, introdotto dal D.L. 201/2011 e che si pone come obiettivo quello di favorire la capitalizzazione delle imprese – uno degli aspetti sui quali è necessario fare attenzione è quello relativo all’impatto dei conferimenti infragruppo.
Infatti, i conferimenti in denaro a favore di soggetti controllati, sterilizzano in modo permanente la base Ace del soggetto conferente. La sterilizzazione dovrebbe operare anche quando la variazione in aumento del patrimonio netto rilevante ai fini dell’Ace in capo al conferente si è verificata in un periodo d’imposta successivo rispetto a quello del conferimento effettuato a beneficio del soggetto controllato, e quindi ancorché l’operazione non possa dar vita al fenomeno della c.d. “capitalizzazione a cascata”.
Come è noto, l’agevolazione consiste nell’ammettere in deduzione dal reddito imponibile un importo corrispondente al rendimento nozionale (che per il 2014 è fissato nella misura del 4 per cento) degli incrementi – al netto di eventuali decrementi – del capitale propriorealizzati a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010. L’importo “agevolabile” non può comunque eccedere il valore del patrimonio netto al termine dell’esercizio così come risultante dal relativo bilancio.
Rilevano come incremento “pro rata temporis”, in relazione al momento in cui si realizzano:
- i conferimenti in denaro versati dai soci a partire dalla data di pagamento;
- le rinunce da parte dei soci alla restituzione dei finanziamenti erogati a partire dalla data dell’atto di rinuncia;
- la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumento di capitale a partire dalla data in cui la stessa assume effetto;
- gli utili accantonati a riserva a partire dall’inizio dell’esercizio nel quale l’assemblea delibera la destinazione.
Di contro rilevano integralmente come decremento – indipendentemente dalla data in cui vengono poste in essere – le attribuzioni, a qualsiasi titolo, in favore dei soci.
Non rilevano, invece, come decremento le riduzioni del patrimonio derivanti da perdite poiché le stesse non sono generate da un atto volontario di devoluzione ai soci. In altre parole, le perdite d’esercizio non determinano variazioni in diminuzione del capitale proprio: tuttavia, per il fatto che riducono il patrimonio, possono avere un effetto indiretto, poiché, come già evidenziato, in ciascun esercizio la variazione in aumento (netta) non può comunque eccedere il valore del capitale proprio così come risultante dal relativo bilancio.
L’articolo 10 del decreto attuativo dell’Ace (decreto ministeriale 14 marzo 2012) prevede disposizioni antielusive che mirano a contrastare, nell’ambito dei gruppi societari, comportamenti volti a moltiplicare la base dell’Ace a fronte della medesima immissione di nuovo capitale (le anzidette “capitalizzazioni a cascata”).
A tal fine la norma in questione stabilisce che la variazione in aumento del capitale proprio rilevante ai fini dell’Ace deve essere ridotta dell’importo dei conferimenti in denaro effettuati, successivamente all’esercizio chiuso al 31 Dicembre 2010, a favore di “soggetti controllati, o sottoposti al controllo del medesimo controllante, ovvero divenuti tali a seguito del conferimento” (art. 10, comma 2, del D.M. 14 marzo 2012). Ad esempio, per effetto di tale limitazione, nell’ipotesi in cui A controlla B che a sua volta controlla C, qualora A conferisca denaro per 100 in B e B a sua volta conferisca (a partire dal periodo d’imposta 2011 in avanti) denaro per 90 in C, la variazione in aumento del patrimonio netto rilevante ai fini dell’Ace per B sarebbe solo 10 (100-90). Il conferimento “a cascata” (quello da B a C), quindi, sterilizza la base dell’Ace di B in modo permanente in tutti gli esercizi successivi anche se il controllo viene meno.
In base al dato letterale della norma, il meccanismo antielusivo dovrebbe operare anche quando il procedimento si svolge in modo “temporalmente” inverso, ovvero quando il conferimento eseguito da B in favore C si sia perfezionato in un periodo d’imposta precedente (2012) rispetto al conferimento eseguito da A in favore di B (2013). In tale ipotesi l’apporto effettuato da B a C non può certo essere definito “a cascata” ed è inoltre assai probabile che i due conferimenti siano generati da due differenti immissioni di “nuovo” capitale: appare quindi evidente come, in un caso del genere, il pericolo che il beneficio Ace venga duplicato sia residuale e la sterilizzazione che colpisce il soggetto intermedio della catena (B) risulta di conseguenza eccessivamente penalizzante.
Si ricorda, infine, che la stessa clausola antiabuso opera anche con riferimento alle operazioni di finanziamento infragruppo. In particolare, la lettera e) del comma 3 del decreto Ace dispone che la variazione in aumento del capitale proprio è ridotta dell’incremento, rispetto a quelli risultanti dal bilancio al 31 dicembre 2010, dei crediti di finanziamento nei confronti di “soggetti controllati, o sottoposti al controllo del medesimo controllante, ovvero divenuti tali a seguito del conferimento”.
In sostanza, la norma intende contrastare la manovra in base alla quale l’aumento del capitale proprio in una società (A) finanzi la società da questa controllata (B), affinché quest’ultima utilizzi le risorse liquide ricevute per incrementare, tramite conferimento, il capitale di una terza società (C) appartenente al medesimo gruppo. Tuttavia, a differenza della fattispecie precedente, in questo caso la sterilizzazione della base Ace, applicata in capo al soggetto finanziatore (A), smette di operare a partire dal periodo d’imposta in cui il finanziamento viene rimborsato e il relativo credito espunto dall’attivo di stato patrimoniale (quindi la sterilizzazione non è permanente).